Il 4 settembre 2025 è morto a Milano Giorgio Armani, 91 anni. La nota del gruppo parla di una fine serena, “circondato dai suoi cari”, e ribadisce la volontà di proseguire nel solco dell’indipendenza che ha definito il marchio. La camera ardente sarà aperta all’Armani/Teatro (via Bergognone 59, Milano) il 6–7 settembre, dalle 9 alle 18; i funerali si terranno in forma privata. La causa del decesso non è stata specificata
"One Night Only", l'omaggio di Giorgio Armani alla città di VeneziaL’uomo prima dello stilista: origini, vocazione, primi passi
Nato a Piacenza l’11 luglio 1934, Giorgio Armani cresce in una famiglia che gli trasmette misura e sobrietà — qualità che diventeranno il suo marchio di fabbrica. A Milano inizia gli studi di Medicina ma li abbandona; la sua “gavetta” passa per La Rinascente, dove lavora come vetrinista e addetto vendite: lì affina l’occhio, il senso delle proporzioni, la capacità di raccontare un capo nella sua cornice quotidiana. Più tardi lavora con Nino Cerruti, esperienza fondamentale che gli insegnò la disciplina sartoriale e lo convinse della strada del prêt-à-porter elegante.
Armani raccontava spesso che la sua formazione non era fatta solo di tecnica, ma di ascolto: osservare chi indossava i vestiti, capire come il tessuto doveva muoversi insieme al corpo. Questa attenzione all’uomo e alla donna “reale” lo distinguerà sempre dagli stilisti che privilegiano più il teatro che l’uso.
Dalla sala di prova alla notorierà in tutto il mondo: la nascita di un marchio
Il passaggio decisivo arriva negli anni Settanta: dopo il debutto come stilista nel 1974 (Palazzo Pitti) e la fondazione ufficiale della sua maison nel 1975 insieme a Sergio Galeotti, Armani costruisce in pochi anni non solo collezioni ma una grammatica stilistica riconoscibile. La sua è una scelta strategica ma anche etica: “Scelsi la strada del togliere anziché aggiungere”, ripeteva lo stilista, indicando una filosofia limpida — togliere l’eccesso per esaltare la persona.
Nel 1981 nascono Emporio Armani e linee diffuse che permettono alla maison di parlare a target diversi senza snaturarsi; nel 2005 arriva Armani Privé per l’Alta Moda: segmentazione, ma sempre con un filo rosso estetico condiviso.
Il metodo: cosa significava “vestire” per Armani
Due idee chiave spiegano il suo impatto duraturo: la destrutturazione della giacca e un’identità cromatica sobria. La giacca “a pelle”, morbida, senza spalline rigide né controfodere opprimenti, è stata la sua rivoluzione tecnica — e culturale: restituiva al corpo naturalezza invece di costrizione. Il colore, spesso tra grigio e beige — il famoso “greige” — divenne linguaggio: non urlava, dialogava con l’ambiente e con chi indossava il capo.
Questa estetica non era minimalismo intellettualistico: era una pratica quotidiana, pensata per chi lavora, vive, ama. Armani sapeva trasformare funzionalità in eleganza — e l’eleganza in desiderio collettivo.
Hollywood e la consacrazione pop: quando la moda entra nel racconto collettivo
C’è un episodio che tutti ricordano: il 1980, American Gigolò di Paul Schrader. Il protagonista, Richard Gere, indossa esclusivamente completi Armani e il mondo nota: la giacca destrutturata diventa simbolo di una mascolinità nuova, sofisticata e disinvolta. Da lì la maison non sarà più solo alta sartoria, ma anche mito pop: tappezzerie di set, red carpet e guardaroba di decine di film.
Negli anni le grandi attrici e attrattori del cinema mondiale hanno scelto Armani per i momenti più visibili: dagli smoking maschili reinterpretati per il corpo femminile fino alle scenografie sul tappeto rosso di Privé, Armani ha saputo leggere il linguaggio della fama e trasformarlo in stile.
Il regno di re Giorgio che non assomiglia a una corporation
Parlare di Armani come di una maison è riduttivo: sotto il suo nome convive moda, accessori, profumi, ristorazione, ospitalità e progetti culturali. Ha creato un modello di brand totale, con hotel, ristoranti e persino l’Armani/Silos (il museo milanese inaugurato nel 2015 che conserva e racconta il suo archivio creativo), ma lo ha fatto mantenendo una direzione familiare e indipendente. Questo controllo serrato lo ha reso raro nel panorama del lusso: poche grandi firme restano così “nelle mani” del loro fondatore.
Negli ultimi anni Armani aveva anche delineato un piano di successione graduale, affidando responsabilità ai collaboratori più stretti e alla famiglia — una scelta pensata e preannunciata, che ora assume una nuova centralità nella prospettiva di continuità del marchio.
Gli ultimi anni: il lavoro, il ritiro e la continuità
Nonostante qualche problema di salute che lo aveva costretto a saltare per la prima volta le passerelle, Armani aveva dichiarato l’intenzione di tornare e di seguire personalmente la transizione della guida creativa e manageriale della sua azienda. Lavorava con il ritmo lento e rigoroso che lo aveva sempre caratterizzato, con attenzione ai dettagli e alla tutela della sua eredità.
Alla sua morte la famiglia e i dipendenti hanno espresso la volontà di portare avanti il gruppo “nel rispetto e nella continuità dei suoi valori”: autonomia, rispetto per il lavoro artigianale e per la figura umana che indossa il capo.
L’addio: camera ardente e funerali
Secondo le comunicazioni ufficiali, la camera ardente è stata allestita all’Armani/Teatro in via Bergognone 59 a Milano il 6 e 7 settembre; i funerali si svolgeranno in forma privata, come da volontà espressa dallo stilista. In una nota ufficiale l’azienda ha ricordato la dedizione “instancabile” di Armani al lavoro e ai progetti.