Garantire energia costante a una sonda per decenni, mentre viaggia a miliardi di chilometri dal Sole, è una delle sfide tecnologiche più complesse dell'esplorazione spaziale. Senza la luce solare per alimentare i pannelli, serve una fonte di energia compatta, incredibilmente longeva e affidabile. Per oltre sessant'anni, la risposta è stata il plutonio-238, ma ora la NASA sta esplorando un'alternativa promettente che potrebbe cambiare le regole del gioco per le future missioni interplanetarie: l'americio-241.
In una recente e fruttuosa collaborazione, il Glenn Research Center della NASA, situato a Cleveland, ha unito le forze con l'Università di Leicester nel Regno Unito per mettere alla prova un innovativo generatore a radioisotopi di tipo Stirling. A differenza dei motori a combustione tradizionali, un convertitore Stirling utilizza pistoni flottanti senza albero a gomiti o cuscinetti rotanti, un design che gli consente di operare ininterrottamente per decenni con un'usura minima. Per i test, il team non ha utilizzato vero materiale radioattivo, ma ha impiegato simulatori che riproducevano fedelmente il calore generato dal decadimento dell'americio, garantendo così la massima sicurezza.
Il risultato più significativo dei test è stata la dimostrazione di una resilienza eccezionale. I ricercatori hanno simulato il guasto di uno dei convertitori Stirling del sistema e, nonostante ciò, il generatore ha continuato a produrre energia senza interruzioni. "Una particolarità di questo progetto è la sua capacità di resistere a un guasto del convertitore Stirling senza perdere potenza elettrica", ha spiegato Hannah Sargeant, ricercatrice dell'Università di Leicester, sottolineando come questo evidenzi la robustezza del sistema per missioni spaziali che potrebbero durare anche per molti decenni.
L'interesse per l'americio-241 non è casuale, infatti, questo isotopo, già in fase di sviluppo da parte dell'Agenzia Spaziale Europea, presenta vantaggi notevoli rispetto al plutonio-238. Innanzitutto, ha un'emivita molto più lunga, circa 432 anni, ed è più accessibile e meno costoso da produrre su larga scala.
"Il concetto è partito da un semplice progetto e lo abbiamo portato fino al livello di prototipo, qualcosa di molto vicino a una versione da volo del generatore", ha commentato Salvatore Oriti, ingegnere meccanico del centro Glenn. "La parte più impressionante è la rapidità e l'economicità con cui l'abbiamo realizzato, reso possibile solo da una grande sinergia tra i team".
Con il successo di questa prima fase, il team sta già lavorando alla prossima generazione del banco di prova. Il nuovo prototipo sarà più leggero, ancora più efficiente e progettato per superare i test ambientali più severi, come le vibrazioni del lancio e le condizioni di vuoto e temperatura estreme dello spazio.
Se questa tecnologia verrà pienamente realizzata, i generatori ad americio potrebbero alimentare strumenti scientifici, lander o piccoli habitat in ambienti dove la luce solare è un miraggio, come i crateri perennemente in ombra della Luna o le gelide lune di Giove e Saturno.