Addomesticate con la minaccia del manicomio: le donne recluse perché "non amanti dell'attività domestica"

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(La redazione di fem) Aug 06, 2025 · 3 mins read
Addomesticate con la minaccia del manicomio: le donne recluse perché
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Dobbiamo chiederci quanto, di quella paura, circola ancora tra le donne che hanno paura di esprimere sé stesse. Tra fine Ottocento e metà Novecento occorreva addomesticare le donne e per farlo non è mancato l'uso della forza e quello della minaccia. Minaccia, anche, di finire in manicomio per la scarsa voglia di cucinare, pulire, accudire, perché si dava prova di intelligenza, di cultura. Una letterale caccia alle streghe, insomma.

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in manicomio per "intelligenza"

Il manicomio è stato usato come leva di potere sui corpi femminili che si rifiutavano di conformarsi. E accadeva in una società in cui la definizione di salute mentale era operata da uomini, a beneficio di un ordine patriarcale che non tollerava ribellioni ma nemmeno timide espressioni di autonomia.

Basti pensare a ciò che succedeva nei manicomi italiani tra l’Ottocento e il dopoguerra, fino alla riforma Basaglia del 1978. Le donne venivano marchiate non per una cura, ma per una penalizzazione. La pseudomedicina, lungi dal liberare, divenne un mezzo per addomesticare chi osava staccarsi dal ruolo imposto: figlie, spose, madri sottomesse e riproduttrici. Le donne hanno trascorso decenni a fingere, a mordersi la lingua, a subire la sottomissione per paura di essere internate.

Basandosi su cartelle cliniche e testimonianze storiche, ecco alcuni dei pretesti usati per rinchiuderle: "Loquace, capricciosa, indecente, indocile": etichette di donna indipendente o energica, trasformate in follia, soprattutto durante il fascismo.

Rifiuto del modello materno o sessuale: non sposarsi, volere un figlio solo se necessario, o opporsi a gravidanze destinate alla crescita dello Stato, erano comportamenti “devianti”. Intelligenza eccessiva o precoce: ragazze vivaci e curiose o donne istruite venivano viste come pericolose o disoneste e internate preventivamente.

Sensualità o “comportamenti morbosi”: descritte come erotiche, ninfomani, civettuole, se non reprimevano le pulsioni sessuali mai erano considerate malate.

Ovviamente, le denunce di violenza domestica o disagio psicosociale erano motivo di internamento: le donne che chiedevano giustizia, rifiutavano abusi o semplicemente erano povere e marginalizzate spesso venivano internate per “pazzia” e neutralizzate.

Gli "errori di fabbrica” e le anomalie comportamentali

Le persone ritenute errori di Natura erano viste come paludi da bonificare: per questo finivano sui tavoli operatori a subire shock insulinici, elettroshock, lobotomia, febbri indotte, fino alla pratica eugenetica pretesa dallo Stato. Le diagnosi - fasulle - fedeli alla narrazione maschilista della società servivano più a silenziare che a curare: la parola femminile, non allineata, veniva criminalizzata con uno scopo e uno soltanto, seminare terrore e imporre un silenzio con la forza. E in questo scenario le pseudoterapie, violente e imposte, erano il vero strumento di sottomissione.

Il regime fascista, attraverso le sue istituzioni, usava la psichiatria e la sanità come braccio del controllo pubblico, definendo l’ordine femminile in termini biologici e morali. I trattamenti erano spesso crudeli e dunque fatalmente lesivi, tutto finalizzato, ovviamente a spegnere la volontà e a dare l'esempio alle altre. Spesso, in manicomio, le donne non morivano di malattia mentale, ma per la fatica di questi trattamenti.

donne intelligenti, colte, sane che morirono dietro le sbarre

In talia, al momento della chiusura nei primi anni Ottanta, c'erano 98 manicomi pubblici che ospitavano circa 89.491 pazienti. Alcune delle donne recluse restarono al confino fino alla loro morte; altre scomparvero nell’oblio dei fascicoli dimenticati. Solo dopo la riforma Basaglia nel 1978 e la chiusura di questi spazi è iniziata la restituzione dei diritti e della dignità alle vittime di quel sistema coercitivo. Oggi, grazie alla volontà di ricercatrici e ricercatori, molti volti e molte storie sono parte di progetti che tentano di ridare dignità a delle vite spezzate.