Anche i ghiacciai “immortali” mostrano segni di cedimento dal 2018

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HDblog.it Sep 03, 2025 · 2 mins read
Anche i ghiacciai “immortali” mostrano segni di cedimento dal 2018
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Per anni i ghiacciai dell’Asia Centrale hanno rappresentato un’eccezione nel panorama globale: mentre le masse glaciali delle Alpi, delle Ande e di gran parte del pianeta si ritiravano a ritmi accelerati, quelli del Pamir e del Karakoram restavano sorprendentemente stabili, tanto da guadagnarsi il nome di “anomalìa Pamir-Karakoram”. Oggi, però, questa resistenza sembra incrinarsi.

Un gruppo di ricercatori dell’Institute of Science and Technology Austria (ISTA) ha raccolto nuovi dati sul ghiacciaio Kyzylsu, nel nord-ovest del Pamir, e i risultati indicano che il 2018 potrebbe aver segnato un punto di svolta. I modelli climatici sviluppati sulla base delle osservazioni mostrano infatti un calo significativo delle nevicate, elemento fondamentale per alimentare e mantenere i ghiacciai. La neve fresca, che si compatta trasformandosi in ghiaccio, è la riserva vitale di queste imponenti masse. Quando viene a mancare, il ghiacciaio entra in una fase di squilibrio.

La ricerca è stata possibile grazie a una nuova stazione climatica installata nel 2021 a circa 3.400 metri di quota, in un’area remota del Tagikistan dove, dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, i dati scientifici erano estremamente scarsi. Secondo Achille Jouberton, primo autore dello studio, il sito di Kyzylsu sta diventando un punto di riferimento per il monitoraggio glaciologico dell’intera regione.

Le simulazioni condotte hanno evidenziato che, a partire dal 2018, l’apporto di neve è sceso sotto una soglia critica. Da allora il ghiacciaio compensa la perdita con un maggiore scioglimento dei ghiacci, arrivando a fornire circa un terzo dell’acqua che le precipitazioni non riescono più a garantire. È un meccanismo temporaneo che, sebbene aumenti nell’immediato la portata idrica dei fiumi, non è sostenibile nel lungo periodo.

Il Kyzylsu è parte del bacino che alimenta l’Amu Darya, fiume che per secoli ha sostenuto le comunità dell’Asia Centrale e che un tempo contribuiva in maniera decisiva al livello del lago d’Aral, oggi ridotto a un ricordo a causa delle deviazioni operate in epoca sovietica. Gli scienziati chiariscono che l’attuale surplus d’acqua non potrà in alcun modo riportare in vita il lago, ma avrà conseguenze dirette sugli ecosistemi locali e sulla gestione delle risorse idriche per milioni di persone.

Il lavoro del team internazionale non si è limitato all’installazione della stazione: i ricercatori hanno coinvolto attivamente le comunità locali, formando abitanti della zona alla manutenzione degli strumenti per garantire continuità alle osservazioni senza dover ricorrere a spedizioni frequenti. Un approccio che unisce ricerca scientifica e sostenibilità logistica in un ambiente tra i più difficili da raggiungere al mondo.

La pubblicazione è stata pubblicata su Communications Earth & Environment. Se davvero il 2018 è stato l’inizio di un declino, lo scopriremo nei prossimi anni, quando i dati raccolti potranno delineare con maggiore chiarezza il futuro di quelli che vengono definiti i “serbatoi d’acqua” dell’Asia.