Apple dovrà difendersi in tribunale da una class action promossa da alcuni consumatori statunitensi che accusano l'azienda di Cupertino di aver monopolizzato in modo illecito il mercato dello storage digitale su dispositivi mobili. Lo ha deciso la giudice distrettuale Eumi Lee, della corte federale di San Jose (California), che ha respinto la mozione con cui Apple chiedeva l'archiviazione del caso.
Apple avrebbe violato le leggi antitrust obbligando l'uso di iCloud per il salvataggio di dati essenziali come i file di impostazione e backup, impedendo ai servizi di terze parti di accedere a queste informazioni. La società ha sempre difeso questa scelta come funzionale alla sicurezza, ma il tribunale ha stabilito che i querelanti hanno fornito elementi sufficienti per sostenere che tale limitazione possa configurare una condotta anticoncorrenziale.
La causa è partita nel 2024 su iniziativa di una residente di Los Angeles, abbonata a iCloud con un piano mensile da 2,99 dollari. Gli avvocati mirano ora a rappresentare un’intera classe di consumatori, potenzialmente composta da decine di milioni di utenti.
Nella nuova documentazione, i querelanti definiscono il mercato rilevante come quello dello "storage cloud completo" sui dispositivi Apple, ossia quei servizi in grado di salvare ogni tipo di file, inclusi quelli esclusi dalle restrizioni imposte da Cupertino. Secondo la denuncia, iCloud sarebbe l'unico servizio a offrire questa possibilità, una condizione che conferirebbe ad Apple un potere di mercato sostanzialmente incontestato. La giudice ha ritenuto plausibile questa ricostruzione e ha giudicato prematuro escluderla in questa fase preliminare del processo.
Il documento cita una quota di mercato pari al 96,1% in termini di ricavi per iCloud sui dispositivi Apple. Inoltre, nonostante la presenza di altri attori rilevanti nel settore, la quota di utenti attivi dei concorrenti sarebbe rimasta stabile o in leggera flessione tra il 2020 e il 2025, segno — secondo i querelanti — dell'esistenza di barriere all'ingresso e all'espansione nel mercato.
La giudice ha inoltre ritenuto valide le accuse secondo cui Apple avrebbe deliberatamente cercato di monopolizzare il mercato attraverso condotte restrittive. I ricorrenti sostengono che l'azienda abbia escluso i concorrenti senza giustificazioni tecniche o commerciali sufficienti, con l'intento di controllare i prezzi e limitare la concorrenza. L'esclusione di file specifici dai servizi terzi è descritta come un'azione strategica volta a consolidare il controllo sul mercato.
Oltre alle disposizioni federali, la causa invoca anche la violazione della "Unfair Competition Law" della California. La giudice Lee ha stabilito che, essendo plausibile la violazione del federal Sherman Act, sussistono anche le basi per un'azione ai sensi della normativa statale contro pratiche commerciali scorrette o illecite.
Apple ha sostenuto che la causa sia da ritenere prescritta, poiché le condotte contestate risalirebbero al design originario del sistema iCloud. Tuttavia, il tribunale ha ritenuto la questione ancora aperta, in attesa di accertare se vi sia stata una violazione antitrust continuativa. Secondo i querelanti, infatti, la politica restrittiva di Apple viene ancora applicata e continua a produrre effetti sul mercato.
La giudice ha respinto anche le argomentazioni alternative di Apple, secondo cui non esisterebbe una coercizione vera e propria, e che gli utenti sarebbero comunque liberi di scegliere altri provider per parte dei propri dati. Il fatto che la stragrande maggioranza degli utenti iPhone scelga comunque iCloud, anche per contenuti limitati, rafforzerebbe invece — secondo i querelanti — l'ipotesi di una restrizione effettiva della concorrenza.