Texas Instruments ha inaugurato a Sherman, in Texas, la prima di quattro nuove fabbriche, parte di un'espansione che prevede sette stabilimenti tra Texas e Utah. L'obiettivo è fornire ai produttori una fonte statunitense di chip cruciali che, fino a oggi, venivano realizzati principalmente all'estero. Con una mossa strategica, Apple ha confermato che produrrà in questa nuova fabbrica "semiconduttori di base fondamentali" per l'iPhone e altri dispositivi.
Non si tratterà dei processori ad alte prestazioni progettati a Cupertino, ma di componenti più piccoli e meno sofisticati. Questi chip analogici ed embedded, che costano solo circa 40 centesimi l'uno, sono indispensabili per gestire l'alimentazione, leggere i sensori ed elaborare i segnali. Semplici, sì, ma nessun iPhone può farne a meno.
Affidarsi a una catena di approvvigionamento interna, ovviamente, aiuta Apple a evitare costi aggiuntivi derivanti dai dazi i introdotti da Trump e a garantire una fornitura costante. Una mossa che si inserisce in una strategia di più ampio respiro in cui Apple sta dirottando buona parte della produzione dalla Cina all'India.
L'apertura dello stabilimento di Texas avviene in un momento di forte tensione commerciale. Nell'agosto 2025, il presidente Trump ha annunciato dazi del 100% sui chip prodotti all'estero, tranne per chi investe negli USA. Lo stesso giorno, il CEO di Apple, Tim Cook, ha aumentato l'impegno di spesa dell'azienda negli Stati Uniti a 600 miliardi di dollari in quattro anni. Parte di questo investimento confluirà direttamente negli stabilimenti della Texas Instruments.
Scegliendo di produrre questi chip negli Stati Uniti, Apple non solo elude le pesanti tariffe, ma si assicura anche una catena di approvvigionamento più stabile, riducendo i rischi legati a guerre commerciali e shock globali. Questo passo, sebbene non sia una mossa appariscente, dimostra la lungimiranza di Apple nel tutelare i propri interessi, garantendo che anche le componenti più piccole e meno note rimangano disponibili.