Negli ultimi anni stiamo assistendo a una vera e propria corsa all'oro digitale, con i principali giganti del settore che investono cifre astronomiche nello sviluppo dell'AI. Meta ha messo in cantiere una spesa di oltre 60 miliardi di dollari (circa 55 miliardi di euro) per la costruzione di nuovi data center dedicati all'AI. Microsoft, dal canto suo, dopo aver ridotto la forza lavoro di 9.000 unità, sta investendo circa 80 miliardi di dollari (quasi 74 miliardi di euro) in nuove infrastrutture per sostenere le sue ambizioni. Persino OpenAI sta sviluppando un browser web potenziato dall'AI per sfidare il dominio di Google Chrome, mentre Amazon progetta nuove intelligenze artificiali "agentiche".
Questo fermento senza precedenti, tuttavia, sta sollevando più di un sopracciglio tra gli esperti finanziari, che vedono in questa euforia l'inquietante eco di un passato non troppo lontano: la bolla delle dot-com di fine anni Novanta. L'allarme più forte arriva da Torsten Slok, capo economista di Apollo Global Management, secondo cui il mercato azionario starebbe sopravvalutando una manciata di colossi tecnologici in modo ancora più marcato di quanto non fece con le aziende internet alla vigilia del crollo del 2000.
Il cuore della sua argomentazione risiede in un indicatore finanziario chiave: il rapporto prezzo/utili (P/E) prospettico a 12 mesi. Questo valore misura la relazione tra il prezzo di un'azione e i profitti che genera, dove un rapporto elevato riflette un grande ottimismo sui rendimenti futuri. Secondo Slok, oggi questo rapporto per le principali aziende tecnologiche ha superato i picchi raggiunti durante la bolla dot-com.
Il problema, ancora più preoccupante, è la concentrazione di questo valore. La crescita recente dell'indice S&P 500 è quasi interamente trainata da un piccolo gruppo di aziende, tra cui Nvidia, Microsoft, Apple, Amazon, Meta, Alphabet e Tesla, tutte pesantemente esposte nel settore dell'AI. Questo squilibrio suggerisce che gli investimenti in queste società si siano scollegati dalla realtà dei profitti attuali, basandosi su promesse tecnologiche non ancora pienamente realizzate.
L'avvertimento di Slok trova eco nelle parole di altri leader del settore, come Robin Li, CEO del colosso cinese Baidu. Egli ha predetto che, qualora la bolla dovesse scoppiare, solo l'uno per cento delle attuali aziende di AI riuscirà a sopravvivere, portando a un assestamento del mercato verso applicazioni più realistiche e sostenibili. La storia potrebbe quindi ripetersi, sostituendo semplicemente la parola chiave "dot-com" con "AI".