Bullismo, il dolore che non insegna: “Basta parole, servono responsabilità”

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(La redazione di fem) Sep 17, 2025 · 5 mins read
Bullismo, il dolore che non insegna: “Basta parole, servono responsabilità”
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"Leggere che, 13 anni dopo la morte di mio figlio, un altro ragazzo della sua età ha perso la vita a causa del bullismo mi fa sentire sconfitta. Basta parole. La scuola frequentata da Paolo Mendico doveva convocare i bulli e prendere le adeguate misure con l'attivazione dei servizi sociali", queste le parole che Teresa Manes, mamma di Andrea Spezzacatena, autrice del libro Il ragazzo dai pantaloni rosa, ha detto in un'intervista rilasciata a La Repubblica. "Il bullismo non è più una ragazzata – ha aggiunto – servono risposte concrete da scuole, famiglie e istituzioni".

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Manes si riferisce al suicidio di Paolo Mendico, 14enne di Latina, che si è tolto la vita nella sua cameretta il giorno prima di ricominciare la scuola. Uno dei tanti, ormai troppi, casi in cui bullismo e cyberbullismo portano un minore al gesto estremo. Dati dell'Associazione Telefono Amico Italia rivelano come i suicidi siano ormai la seconda causa di morte tra i giovani dai 10 ai 25 anni.

Si cerca la colpa, non la responsabilità

"La responsabilità è diversa dalla colpa. La colpa è dopo: è colpa della scuola, è colpa dei genitori... Ma la responsabilità, chi non l'ha esercitata? Chi non è stato vicino a questo ragazzo? Chi non ha colto i segnali?": Ivano Zoppi, segretario generale di Fondazione Carolina (nata in memoria di Carolina Picchio, studentessa 14enne che nel 2013 si suicidò perché esasperata dalle offese ricevute sui social) centra immediatamente il punto quando gli chiedo di commentare l'ennesima tragedia che colpisce un adolescente italiano. E ha ragione: ogni volta che accade il copione è sempre lo stesso. Si aprono le indagini, si cercano i colpevoli, si punta il dito. Ma la domanda dovrebbe essere un'altra: chi non ha saputo vedere? Chi non c'era quando serviva esserci? "C'è uno scarico di responsabilità che è devastante. C'è un ragazzo che è morto. C'è un ragazzo di cui non possiamo più raccontare la storia. Che non avrà più una storia", continua Zoppi con parole che pesano come macigni. Il riferimento è anche alle dichiarazioni della dirigente scolastica che, intervistata dai giornali, se ne è "lavata le mani" sostenendo che "nei verbali dei consigli di classe non risulta niente" e che "forse non è solo la scuola che deve stare vicino a questi ragazzi". 

Il bullismo di oggi non è quello di ieri

Alla domanda se il fenomeno sia realmente in aumento o se sia cresciuta l'attenzione mediatica, l'esperto è chiaro: "Il bullismo è sempre esistito. Vent'anni fa non c'erano statistiche che ne parlassero, quindi non so dire se fosse più o meno diffuso. Certamente oggi è più mediatico e certamente c'è un aumento della fragilità di questi ragazzi". Ma c'è una differenza sostanziale che rende tutto più drammatico: "Quando vent'anni fa eri a scuola e ti prendevano in giro, finiva lì. Oggi c'è chi ti riprende col cellulare e fa diventare tutto virale. E tu puoi vedere sempre quella scena, più volte, ovunque".
È questo il punto: la tecnologia ha amplificato all'infinito la portata delle vessazioni. "Questa dinamica è devastante per la vita di un ragazzo che, in quella fascia d'età - soprattutto alle medie o nel primo biennio delle superiori - sta costruendo la propria identità. Ha bisogno di essere visto per quello che è, non per l'etichetta che gli altri gli appiccicano addosso".

Le famiglie: presenti ma non presenti

"I genitori di oggi sono più presenti fisicamente, riempiono gli spazi di vita dei figli, ma non sono presenti con l'animo, con il cuore. Non sono presenti nella predisposizione ad accogliere le difficoltà del proprio figlio", commenta Zoppi toccando un nervo scoperto delle famiglie contemporanee. C'è un paradosso: mai come oggi i genitori sono stati così coinvolti nella vita dei figli, eppure qualcosa non funziona. "Trenta, 40 anni fa non c'era tutta questa attenzione ad accogliere le emozioni dei bambini – ammette –, ma i genitori erano emotivamente presenti, non solo fisicamente, davano con l'esempio le regole, davano uno stile".

La scuola tra istruzione ed educazione

"La scuola fa tanto, ma non abbastanza. E non ha gli strumenti". Il giudizio di Zoppi sul ruolo dell'istituzione scolastica è equilibrato ma severo. Il problema di fondo è culturale: "La scuola è vista come quella che ti deve misurare sulle performance. Come fai a misurare la crescita umana? Come fai a capire che un ragazzo magari sa fare 5 più 5 più veloce degli altri, ma magari ha una sofferenza interna che non racconta?". Il nodo è la confusione tra istruzione ed educazione: "La scuola non è un ambito educativo, è un ambito dove si fa istruzione, cioè metti dentro dei concetti. Educare significa altro, significa tirar fuori il potenziale che ha un giovane". E la scuola dovrebbe sì istruire, ma in primo luogo dovrebbe educare, al fianco delle famiglie. Ma può davvero farlo? "Non sempre. Perché ha i programmi da rispettare, gli obiettivi da raggiungere". È un sistema "molto vecchio, che ragiona solo sulle performance e sui voti", aggiunge Zoppi.

Quando si verifica un caso di bullismo “i professori spesso non intervengono perché hanno paura delle ripercussioni legali e perché non hanno gli strumenti adeguati" – dice l’esperto -. C'è anche "un po' di omertà" perché spesso "i dirigenti preferiscono nascondere i problemi". Il risultato è che la scuola preferisce far finta di niente piuttosto che affrontare il problema.

Le ricette che non bastano più

Insomma, ci concentriamo sul fenomeno, ma non sulle cause. Il bullismo è una conseguenza, un risultato. “Si arriva a questo punto perché manca un mondo adulto che sappia stare davvero con questi ragazzi, che sappia esserci. Una presenza che non significa solo essere fisicamente vicini, ma essere presenti con il cuore e con l'anima". Zoppi è netto: servono interventi che siano in continuità educativa, non una tantum perché si devono fare, ma che ragionino su una progettualità pluriennale.
Non bastano più gli incontri sporadici: "Anche se le scuole fanno l'incontro con la polizia postale o con altre associazioni, è evidente che il bullismo continua a verificarsi: non può essere quell'intervento di un'ora a fare la differenza. Bisogna lavorare con continuità e non limitarsi a chiamare l'esperto di turno". Serve un approccio integrato, un coordinamento tra enti, una valutazione dell'impatto degli interventi, delle risorse, un sistema di controllo e verifica.