Un recente studio dell’Università di Shandong, pubblicato su Science Advances, suggerisce che il trattamento delle acque reflue con minerali ad alta alcalinità prima del loro rilascio in mare potrebbe rappresentare una strategia efficace per aumentare la capacità degli oceani di assorbire e trattenere anidride carbonica.
Secondo i ricercatori, gli impianti di trattamento delle acque reflue potrebbero diventare attori fondamentali nel contrasto al cambiamento climatico, contribuendo a rafforzare l’alcalinità marina. Questo approccio offrirebbe una doppia opportunità: da un lato favorirebbe il sequestro del carbonio atmosferico, dall’altro migliorerebbe le condizioni ambientali delle acque costiere.
La metodologia, nota con il nome di "ottimizzazione dell’alcalinità marina", consiste nell’aggiungere composti minerali basici alle acque reflue prima del loro rilascio in mare. Questo processo, oltre a ridurre l’acidità oceanica nociva per la biodiversità, incrementa anche l’assorbimento di CO₂ nella zona superficiale degli oceani. I ricercatori evidenziano che l’aumento dell’alcalinità nei sistemi di depurazione contribuisce sia a limitare l'acidificazione costiera che a potenziare il naturale ciclo di sequestro del carbonio.
Finora, le conoscenze su quanto l’alcalinità potesse incidere sull'efficacia del sequestro del carbonio erano piuttosto limitate. Tuttavia, esperimenti di laboratorio hanno evidenziato che l’introduzione di minerali come olivina (un silicato contenente magnesio e ferro) nelle acque reflue può innalzare l’alcalinità totale fino a 10 millimoli per chilogrammo(**). Oltre a favorire l’assorbimento di CO₂, questo trattamento si è dimostrato efficace anche nella eliminazione dei fosfati. Inoltre, si è riscontrato che la velocità di reazione dell’olivina in condizioni aerobiche è risultata oltre 20 volte superiore rispetto alla stessa reazione condotta direttamente in acqua marina.