Un nuovo microchip progettato per imitare fedelmente la struttura e la funzionalità dei vasi sanguigni umani potrebbe cambiare in profondità il modo in cui si studiano e diagnosticano le malattie cardiovascolari. Il dispositivo, messo a punto da un team della Texas A&M University, si presenta come un modello più realistico ed efficace per analizzare patologie vascolari e per testare nuovi farmaci in modo più sicuro e personalizzato.
Il progetto nasce dall’idea di superare i limiti dei tradizionali modelli sperimentali, che fino a oggi tendevano a rappresentare i vasi sanguigni come semplici tubi dritti. Abhishek Jain, professore associato di ingegneria biomedica, insieme alla studentessa magistrale Jennifer Lee, ha voluto replicare in laboratorio la complessità anatomica reale del sistema vascolare umano: curve, biforcazioni, restringimenti e dilatazioni che influenzano in modo diretto il flusso sanguigno e il comportamento delle cellule.
Il cosiddetto “vessel-chip” è un microdispositivo in grado di simulare condizioni specifiche come aneurismi, stenosi e ramificazioni vascolari. Costruito con cellule endoteliali umane — ovvero le stesse che rivestono internamente i vasi sanguigni — il chip fornisce un ambiente biologicamente attivo, che potrà essere ulteriormente arricchito con altri tipi cellulari per osservare le interazioni nei tessuti e gli effetti del flusso sanguigno.
Ciò che rende questo chip particolarmente interessante è la sua capacità di adattarsi a parametri personalizzati. Secondo Jennifer Lee, il dispositivo potrebbe aprire la strada a test farmacologici su misura per il singolo paziente, eliminando anche la necessità di ricorrere a modelli animali per molte fasi della sperimentazione.
Il lavoro di Lee, cominciato già durante il suo percorso di laurea triennale, ha trovato rapido sviluppo nel programma avanzato della sua università, grazie a un ambiente di ricerca stimolante e alla possibilità di collaborare con dottorandi e ricercatori post-doc. Il professor Jain ha sottolineato il valore del contributo della studentessa, evidenziando la rapidità con cui ha acquisito competenze in un campo di frontiera come quello degli organi-su-chip.
Il progetto ha ottenuto il sostegno di enti prestigiosi come il programma di ricerca medica dell’Esercito statunitense, la NASA, il National Institutes of Health (NIH) e la Food and Drug Administration (FDA), a testimonianza dell’interesse trasversale che questo tipo di tecnologie suscita nel mondo della salute, della sicurezza e della ricerca spaziale.
Pubblicata sulla rivista Lab on a Chip, la ricerca segna un passaggio significativo verso quella che gli stessi autori definiscono “la quarta dimensione degli organi-su-chip”: non solo una combinazione tra cellule e flusso sanguigno, ma una riproduzione fedele della loro interazione all’interno di architetture complesse.