C'è un'arte che non crea, ma distrugge. Una mano che non dipinge la vita, ma la nega. In Clair Obscur: Expedition 33 il gesto artistico è un atto di condanna, una firma che decreta la sparizione di un'intera generazione. Ogni anno una cifra viene tracciata sul monolite della memoria, e ogni individuo la cui età coincide con quel numero si dissolve in polvere. Non resta che la cenere dei ricordi, e la certezza che la prossima cifra si avvicina.
Con questo gesto semplice e terribile, il gioco scolpisce il suo universo. Una distopia pittorica dove la bellezza si intreccia alla morte, e l'arte è una divinità impazzita che ridipinge il mondo cancellandolo. In questo panorama devastato, l'umanità sopravvive aggrappandosi a un numero sempre più esiguo di vite: solo i giovani, solo chi è nato dopo, solo chi ancora non è stato scritto, solo chi verrà dopo.
Siamo nella mente di Sandfall Interactive, un piccolo studio francese che qui esordisce con un'opera prima sorprendente ispirata alla Belle Époque nel suo immaginario estetico e al Giappone degli JRPG per struttura e meccaniche. Ma ciò che rende Clair Obscur: Expedition 33 più che un omaggio è il modo in cui trasforma la tradizione in espressione personale, scavando nei dolori collettivi e nei limiti dell'esistenza con una delicatezza ferrea.
Una danza tra eredità e resistenza
Il combattimento in Clair Obscur: Expedition 33 è un rito di sopravvivenza, una coreografia in cui ogni mossa, dal colpo preciso al contrattacco tempestivo, sembra sfidare l'oblio stesso. Influenze da Mario RPG e Persona si fondono con una fisicità quasi souls-like, dove schivate e parate attive sostituiscono la difesa passiva, trasformando ogni scontro in un dialogo tra fragilità e mostruosità. Questo approccio, seppur meno accessibile, eleva la battaglia ad esperienza viscerale: i nemici telegrafano attacchi con prompt, e padroneggiare tempismo di counter e schivate diventa cruciale quanto l'equipaggiamento. Non a caso, la personalizzazione ricorda Final Fantasy 9: i Pictos, equipaggiamenti con abilità uniche, si apprendono in soli quattro scontri e si condividono istantaneamente tra il party, incentivando sperimentazione senza grinding. Ogni sinergia è una risposta alla domanda ossessiva del gioco: "Come resistere alla scomparsa?".
Un mosaico di ispirazioni rifinite
Il gioco attinge ai grandi RPG con intelligenza, trasformando meccaniche classiche in tasselli di un sistema coeso. Il sistema di cure, i checkpoint di riposo e l'importanza di counter e schivate evocano i Souls, mentre i legami sociali semplificati e la mappa esplorabile omaggiano Persona e gli RPG d'epoca. Anche il sistema dei Lumina, che permette di equipaggiare effetti attivi e passivi appresi dai Pictos, bilancia profondità e fluidità. Invece di costringere ogni personaggio ad imparare nuovamente un'abilità, basta che uno la padroneggi per renderla disponibile a tutti. Il risultato è un combat turn-based dinamico, arricchito da una telecamera cinematografica ed effetti sonori che esaltano ogni parata riuscita.
Un mondo per chi resta
Gustave e Maelle non sono figure mitiche, né incarnazioni di un destino epico. Sono feriti, frammentati, esseri umani prima ancora che protagonisti. Il loro incedere nel mondo spezzato di Clair Obscur: Expedition 33 non è guidato da eroismo, ma da un'urgenza più sottile e dolorosa: quella di non sparire e di lasciare qualcosa a chi verrà dopo. Gustave cammina come chi ha già perso troppe battaglie interiori e si porta dietro il silenzio pesante di chi resta in piedi solo per non dimenticare. Maelle, invece, è tempesta e crepa, una figlia dell'assenza modellata dal vuoto. Il loro rapporto non è fatto di dialoghi espositivi, ma di tensioni, di gesti rotti e di distanze che si accorciano quando il mondo intorno si fa più crudele.
La loro spedizione verso la Pittrice, la divinità che non crea ma cancella, è una marcia attraverso i resti del mondo e della propria identità. Non combattono per salvare il presente, ma per seppellire il passato. Ogni roccaforte conquistata, ogni frammento narrativo, ogni pezzo d'equipaggiamento parla di una civiltà che ha smesso di tramandarsi.
Clair Obscur: Expedition 33 racconta un mondo che ha perso i padri, le madri, i maestri. Le figure guida non ci sono più. E non torneranno. Perciò il viaggio non è una redenzione, ma una presa di coscienza. Un modo per guardarsi allo specchio e accettare che ciò che resta siamo noi.
La mappa del ricordo
La mappa del mondo in Clair Obscur: Expedition 33 non è uno strumento, bensì una reliquia. Un plastico silenzioso e polveroso, come quelli abbandonati nei musei senza più visitatori. Non c'è nessun trionfo dell'avventura in quei sentieri stilizzati, nessuna promessa di meraviglia. Ogni percorso è lineare, ogni snodo è una commemorazione. Le strade non conducono a scoperte, ma ad echi. È come viaggiare dentro ad una fotografia sbiadita, una cartolina inviata da un mondo che non esiste più.
La scelta visiva rifugge ogni compiacimento estetico: la palette limitata, i paesaggi sbiancati e l'assenza quasi ostentata di colore parlano di un mondo in lutto. Non è un caso che i toni scelti richiamino più la cenere che la terra, più il marmo funebre che la pietra viva. Ogni villaggio esplorato è un altare, ogni roccia un monumento, ogni elemento naturale sembra recitare una preghiera muta a ciò che è stato.
Eppure, nel vuoto, qualcosa resiste. Una melodia, magari. Un'armonica che sussurra quando meno te lo aspetti. Un violino che non accompagna, ma interroga. Queste musiche non servono a colorare il silenzio: lo scavano più a fondo. Fanno da bussola non nello spazio, ma nel tempo.
L'Eco delle assenze
In Clair Obscur: Expedition 33 la musica non è un semplice accompagnamento, ma una voce narrante a pieno titolo. Le composizioni di Lorien Testard attraversano il gioco come correnti sotterranee, capaci di innervare i silenzi e scandire il tempo del lutto e della resistenza. Alcuni brani sembrano nati da un passato che non esiste più, come Alicia, una melodia che si dipana come un ricordo sfocato, come il sussurro di un amore che il tempo ha cancellato, ma che persiste nell'ombra della memoria. Altri come Lumière s'insinuano tra le fessure dell'oscurità con un bagliore fragile, quasi a ricordarci che ogni buio porta con sé una scintilla di redenzione.
Ogni zona esplorata, ogni dialogo, ogni combattimento è incorniciato da un leitmotiv che non cerca l'epicità facile, ma la commozione sottile. Così, la colonna sonora non si limita a commentare, ma interpreta, traduce in suono la disperazione dei personaggi, la stanchezza di un mondo sfinito e la speranza che ancora resiste sotto le macerie. È un canto funebre che si rifiuta di essere solo silenzio.
L'arte che distrugge
In Clair Obscur: Expedition 33 l'arte non è un linguaggio: è una lama. La Pittrice, questa divinità che annienta attraverso l'atto creativo, non rappresenta l'artista ispirata, ma l'artista assolutista. Non costruisce mondi, li cancella. Dipinge per negare, plasma per annullare. La sua arte è dogma, ed ogni tratto del pennello è una sentenza definitiva. Non c'è redenzione, non c'è interpretazione, solo l'estinzione elevata a gesto estetico.
Questo capovolgimento è il cuore più oscuro dell'opera: in Clair Obscur: Expedition 33 l'arte non è bellezza, ma potere. È l'arte che sostituisce la realtà invece di dialogarci. E il mondo che ne emerge è un'esibizione di rovine. Architetture decadenti, spazi deformati, creature che sembrano abbozzi cancellati e ridisegnati troppe volte. E l'estetica non è mai gratuita, dato che ogni imperfezione ed ogni stonatura diventano coerenza.
Il risultato è disturbante. Giocare a Clair Obscur: Expedition 33 significa muoversi in una galleria d'arte morta. Ogni battaglia è una performance terminale. Ogni boss è una scultura vivente condannata a disgregarsi sotto i nostri colpi. E il gameplay stesso, fatto di pose, interruzioni e tempi scenici richiama il teatro più che il campo di battaglia. Come se ogni scontro fosse una rappresentazione. Ma non una tragedia: una distruzione rituale.
Eredità e rivoluzione
Clair Obscur: Expedition 33 si apre con una certezza: il ciclo è finito. Ogni anno la Pittrice cancella trentatré nomi. Nessuno sa perché. Nessuno sa come opporsi. È la legge. La cifra. Il destino numerico. Ma dietro quel numero c'è un mondo che trema. Perché trentatré non è solo un conteggio: è una ferita. È la prova che la storia non è più scritta dagli uomini, ma da una mano esterna, inumana, artistica.
E così i giovani restano soli. Non esistono più i grandi a cui riferirsi. Non ci sono più strutture, istituzioni, bussole morali. Ci sono solo macerie. L'unico modo per sopravvivere è non cercare il passato, ma costruire il dopo. Il gruppo che parte per la spedizione non è mosso da eroismo, ma da disperazione, la disperazione di lasciare qualcosa a chi verrà dopo di loro. È l'ultima generazione che può ancora immaginare qualcosa. Ma cosa vuol dire immaginare in un mondo che si cancella da solo?
In questo, Clair Obscur: Expedition 33 diventa un gioco radicalmente politico. Non nel senso ideologico, ma esistenziale. La scelta di ribellarsi alla Pittrice non è un atto di rivoluzione, ma di eredità, dovendo scegliere cosa portare con sé e cosa lasciare andare. Scegliere se combattere o lasciare che il destino svolga il suo corso. Scegliere di raccontarsi da soli. Di scrivere una nuova narrazione che non parte dalla gloria, ma dalla sopravvivenza. Non ci sono mentori, non ci sono archetipi. Solo corpi che marciano verso la fine, con la speranza, forse folle, di piegare l'ineluttabile.
Ecco l'unica vera utopia di Clair Obscur: Expedition 33. Anche in un mondo in cui l'arte distrugge, qualcuno può ancora creare.
Un'opera prima che lascia il segno
Nonostante i suoi inciampi tecnici e qualche ambizione che eccede le possibilità del team, Clair Obscur: Expedition 33 è un debutto sorprendente, maturo e ricco di spunti. È un gioco che non ha paura di essere cupo, che osa tematizzare la sparizione e l'assenza, che tratta la morte non come ostacolo, ma come fondamento della sua identità.
Il suo sistema di combattimento, vivido e tattile, si eleva tra i migliori nel panorama dei GDR contemporanei. La sua narrazione si insinua sotto pelle. E il suo messaggio, che tratta di arte, tempo, del passaggio di testimone tra generazioni, di lutto e della famiglia, riecheggia ben oltre i titoli di coda.
Clair Obscur: Expedition 33 è un quadro che non si limita a raccontare una storia, ma la dipinge con personaggi vivi e sfumature tematiche profonde, dando vita ad una delle esperienze narrative più coinvolgenti degli ultimi anni. Un dipinto davanti al quale è impossibile restare indifferenti.