All’Università del Massachusetts Amherst un gruppo di ingegneri ha ricreato in laboratorio un neurone artificiale che funziona quasi come uno biologico e con la stessa efficienza energetica. La differenza rispetto ai tentativi precedenti è enorme: il nuovo dispositivo lavora a 0,1 volt, la stessa tensione dei neuroni umani, mentre le versioni passate richiedevano dieci volte tanto e consumavano cento volte più energia.
Il cuore di questa innovazione sono i nanofili proteici prodotti da un batterio molto particolare, Geobacter sulfurreducens, capace di generare elettricità. Questi minuscoli filamenti conduttivi sono stati già usati in passato per creare dispositivi curiosi, come sensori che funzionano con il sudore o piccoli generatori che estraggono energia dall’umidità dell’aria. Adesso, però, la ricerca fa un salto ulteriore: i nanofili diventano la base di un neurone elettronico che può parlare la stessa “lingua” delle nostre cellule nervose.
Per capire l’importanza del risultato basta pensare al paragone tra cervello e intelligenza artificiale. Il nostro organo più complesso funziona con circa 20 watt, poco più di una lampadina da comodino. Un modello linguistico come ChatGPT, invece, può arrivare a richiedere oltre un megawatt per svolgere compiti simili.
Colmare questo divario è una delle grandi sfide della ricerca: costruire computer bio-ispirati che sappiano fare calcoli complicati senza divorare energia.
Ma non c’è solo l’informatica nel futuro di questi neuroni artificiali e il fatto che operino alla stessa tensione dei neuroni biologici si rivela promettente in molti campi, anche quello medico: protesi e dispositivi impiantabili potrebbero comunicare direttamente con il sistema nervoso, senza bisogno di grandi circuiti di conversione. Lo stesso vale per i sensori indossabili, che oggi devono “amplificare” i segnali del corpo prima di inviarli a un computer: con questa tecnologia il passaggio intermedio non servirebbe più, con vantaggi in termini di consumo e miniaturizzazione.
Gli autori dello studio, pubblicato su Nature Communications e sostenuto da enti come la National Science Foundation e i National Institutes of Health, spiegano che il traguardo principale non è solo aver creato un nuovo componente elettronico, ma aver mostrato che si può davvero costruire un ponte tra biologia e tecnologia. Come ha detto il ricercatore Jun Yao, lavorare a 0,1 volt “significa aprire la strada a un’integrazione senza precedenti tra macchine e biologia”.