Senza un'efficace azione di riduzione delle emissioni di CO2, quasi tre quarti del pianeta – il 74% per la precisione – si troverà a rischio di scarsità d'acqua entro il 2100. L'allarme arriva da una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Communications e guidata da Christian Franzke dell'Università Nazionale di Busan, in Corea del Sud, che ha realizzato una mappa predittiva per identificare le aree e le tempistiche delle future crisi idriche.
Sebbene il legame tra cambiamento climatico e carenza d'acqua sia noto, finora è stato difficile prevedere con esattezza dove e quando si verificheranno le crisi più gravi, ostacolando la pianificazione di misure preventive. Utilizzando modelli di evoluzione climatica globale, i ricercatori hanno ora identificato le zone più a rischio. Le prime gravi crisi idriche potrebbero emergere già entro il 2030, con eventi severi che potrebbero diventare più frequenti nei prossimi cinque anni in aree specifiche, tra cui l'intero bacino del Mediterraneo, l'Africa meridionale e alcune parti del Nord America.
La combinazione di scarse precipitazioni piovose e nevose e l'aumento costante delle temperature, spiegano i ricercatori, porterà a una progressiva riduzione della portata dei fiumi e della disponibilità di acqua potabile, un fenomeno che interesserà anche le regioni che ospitano grandi bacini idrici.
Secondo lo studio, il problema riguarderà circa 750 milioni di persone, di cui 470 milioni residenti in aree urbane e 290 milioni in zone rurali, mettendo a dura prova la stabilità di intere regioni. I ricercatori sottolineano come questi scenari siano basati su un'ipotesi di mancate azioni di riduzione delle emissioni, ribadendo l'urgenza di interventi concreti per mitigare gli effetti più gravi del cambiamento climatico.