Per decenni la corsa della microelettronica ha avuto un obiettivo, ossia riuscire a inserire sempre più transistor nello stesso spazio. Ma oggi, con componenti larghi appena poche decine di atomi, il silicio mostra tutti i suoi limiti: complessità produttiva, dispersioni di corrente e instabilità minacciano di frenare i progressi. È in questo contesto che si affacciano i materiali bidimensionali, sottili un solo strato atomico, come possibili protagonisti della prossima generazione di chip.
Tra i più promettenti ci sono il disolfuro di molibdeno (MoS₂) e il diseleniuro di tungsteno (WSe₂), capaci di condurre elettricità in modo efficiente anche a spessori infinitesimali. Questi semiconduttori possono essere configurati come transistor di tipo n o p, i due mattoni fondamentali per costruire logiche digitali. Tuttavia, fino a oggi, portarli dal laboratorio alla produzione su larga scala è stato tutt’altro che semplice: i metodi tradizionali richiedono camere a vuoto, alte temperature o la manipolazione manuale di nanosheet, con risultati spesso irregolari.
Un gruppo di ricercatori, in uno studio pubblicato su Advanced Functional Materials, ha messo a punto un processo innovativo che sfrutta i campi elettrici per guidare l’assemblaggio dei materiali 2D. La tecnica parte dall’esfoliazione elettrochimica: applicando un voltaggio, grandi ioni vengono inseriti tra gli strati di un cristallo, indebolendo i legami interni. Una delicata sonificazione separa quindi i fogli atomici, che rimangono sospesi in soluzione e raggiungono dimensioni superiori al micron, molto più grandi rispetto a quelli ottenuti con i metodi meccanici tradizionali.
Il passo successivo è l’assemblaggio controllato: gli elettrodi sagomati modellano il campo elettrico e guidano i nanosheet a posizionarsi con precisione tra contatti predefiniti. In questo modo, è possibile costruire più dispositivi contemporaneamente, senza ricorrere a litografia o incisioni. Bastano circa 15 secondi per ottenere canali uniformi spessi 10 nanometri.
I test hanno dimostrato che con questa tecnica si possono costruire porte logiche – come NAND e NOR – e perfino piccole memorie, ossia i mattoni fondamentali di ogni processore. Il tutto con consumi bassissimi e una buona stabilità.
Per la prima volta, dunque, appare davvero possibile immaginare circuiti elettronici che vadano oltre i limiti del silicio. Non significa che domani i nostri smartphone abbandoneranno questo materiale, ma l’orizzonte si è aperto. Se queste tecnologie troveranno applicazione industriale, i computer del futuro potrebbero essere costruiti con fogli di pochi atomi guidati da campi elettrici invisibili: una prospettiva che fino a ieri sembrava fantascienza.