L’Europa ha accumulato enormi quantità di rifiuti nucleari nel corso di oltre mezzo secolo di produzione energetica a base di uranio. Materiale radioattivo, difficile da smaltire e destinato a restare pericoloso per milioni di anni. Ma un’azienda franco-olandese, Thorizon, è convinta che queste scorie possano diventare una risorsa chiave per l’indipendenza energetica europea.
Il progetto ruota attorno a un tipo di reattore modulare chiamato MSR (molten salt reactor), che utilizza un mix di combustibile nucleare esausto e torio, un metallo radioattivo abbondante ma finora poco sfruttato. La prima centrale sperimentale, chiamata Thorizon One, potrebbe essere costruita entro cinque anni e generare fino a 100 megawatt di elettricità, sufficienti per alimentare circa 100.000 abitazioni o un grande centro dati.
Il principio è noto: anche dopo l’utilizzo nei reattori tradizionali, il combustibile nucleare conserva circa il 90% della sua energia potenziale. Thorizon vuole sfruttare questo potenziale inespresso, affrontando allo stesso tempo il problema delle scorie. Come ha spiegato la CEO Kiki Lauwers, “non stiamo solo costruendo un nuovo tipo di reattore, ma ripensando radicalmente l’utilizzo del combustibile che già abbiamo”.
Questa tecnologia, basata su sali fusi ad alta temperatura ma a bassa pressione, è ritenuta più sicura rispetto ai reattori convenzionali: in caso di guasto, i sali si solidificano intrappolando i materiali radioattivi. Thorizon ha sviluppato un sistema a cartucce, contenitori in acciaio che racchiudono la miscela di torio e combustibile esausto. Quando il materiale si esaurisce, la cartuccia può essere sostituita senza intervenire sull’intero impianto.
Non è la prima volta che si parla di riciclare le scorie nucleari. Già negli anni ’60 e ’70, Paesi come Francia, Stati Uniti e Giappone sperimentarono i cosiddetti reattori veloci, capaci di “coltivare” nuovo combustibile a partire dai rifiuti. Ma due fattori ne bloccarono lo sviluppo: il timore di proliferazione nucleare — poiché questi reattori producono plutonio — e il crollo del prezzo dell’uranio grazie a nuove scoperte minerarie in Australia, Canada e Africa. Risultato: più economico estrarre nuovo uranio che investire nel riciclo.
Oggi, però, lo scenario è cambiato. La crisi climatica e l’instabilità geopolitica spingono molti Paesi a rivalutare l’energia nucleare, soprattutto sotto forma di reattori modulari, più compatti e potenzialmente più sicuri. Il riutilizzo delle scorie potrebbe diventare non solo una scelta tecnologica, ma una necessità politica.
Per passare dalla teoria alla pratica, Thorizon ha già completato il progetto concettuale e avviato studi preliminari per tre siti possibili in Francia, Belgio e Paesi Bassi. Collabora con il gruppo industriale olandese VDL per costruire i componenti principali, e conta circa 50 ingegneri tra le sedi di Amsterdam e Lione.
Resta però un ostacolo fondamentale: il finanziamento. La startup ha raccolto finora 42,5 milioni di euro, tra fondi pubblici e privati, ma per costruire il primo impianto serviranno almeno 750 milioni di euro. Una sfida non da poco in un continente dove i capitali per il nucleare sono scarsi rispetto agli Stati Uniti. Oltreoceano, aziende simili — come TerraPower o X-Power — hanno già attratto investimenti superiori al miliardo di dollari.
Secondo Lauwers, una parte dei fondi oggi destinati allo stoccaggio delle scorie — come il costosissimo deposito Onkalo in Finlandia, a 500 metri di profondità — potrebbe essere reindirizzata verso soluzioni che valorizzino i materiali già presenti. Un approccio che mira non solo a gestire i rifiuti, ma a trasformarli in una nuova fonte di energia stabile e sostenibile per il futuro europeo.