Dobbiamo essere felici di essere single, ma fino a un certo punto: il paradosso sociale e l'equivoco del "bastarsi"

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(La redazione di fem) May 27, 2025 · 5 mins read
Dobbiamo essere felici di essere single, ma fino a un certo punto: il paradosso sociale e l'equivoco del
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Dobbiamo avere un/a partner ma non dobbiamo desiderarlo. Dobbiamo percepire la spinta a includerci in una relazione stabile ed eteronormata, ma non possiamo dire nemmeno questo: dobbiamo dire che da single stiamo benissimo. Dobbiamo desiderare l'indipendenza, dire ad alta voce che da sole, da soli, stiamo benissimo e che non ci serve qualcuno/a per sentirci complete, completi. Ma in fondo - e lo dobbiamo sapere - prima o poi abbracceremo la dimensione di coppia. La società è un grido a più voci. E dicono tutte cose diverse. 

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Niente più "zitelle" e "scapoloni": viva le persone single (purché a un certo punto smettano)

Oggi non basta essere single per rivendicare, tacitamente, l'assenza di un bisogno di stare con qualcuno. Oggi bisogna essere single con una quota importante di orgoglio, forza, ironia, spirito. Guai a dire che si è infelici o peggio ammettere di desiderare una forma di compagnia emotiva, romantica, erotica stabile: sei, per caso, debole? D'altro canto, la società continua a privilegiare le relazioni di coppia. Il messaggio è allora chiaro nel suo paradosso: non puoi dire di volere un/una partner perché altrimenti lo stigma ti avvolge come una nube tossica. Ma a un certo punto lo devi avere (non si sa come, se urli al mondo la tua gioia di stare bene da single).

Dati sulla quantità di persone che sono single per scelta (in Italia e nel mondo) ci raccontano che viviamo in un'epoca in cui la singletudine è, almeno in parte, stata liberata dallo stigma. Alla cultura si affiancano le conquiste sociali: prima molti matrimoni erano forzati, nel senso laterale del termine, dal fatto che le donne non potessero lavorare (o perché qualcuno glielo impediva nei fatti o con pressioni sociali), che il divorzio fosse illegale e poi legalizzato ma anch'esso stigmatizzato. E combinando le due cose, è presto spiegato perché le nostre nonne, bisnonne e trisavole sono rimaste accanto allo stesso uomo per tutta la vita.

Anche gli uomini avevano un tempo di singletudine concessa limitato, sebbene più elastico: oltre una certà età si incorreva in terribili "calunnie" quindi anche loro dovevano necessariamente trovare una compagna di vita, volenti o nolenti. Oggi è ovviamente diverso e molte persone scelgono consapevolmente di vivere da sole, costruendo vite ricche di amicizie, lavoro e passioni personali.

vivere da soli, da sole, è un lusso economico ed emotivo

Ma chi lo fa davvero? Vivere da soli, da sole, ha dei costi esorbitanti: economici prima, sociali dopo. Ed è qui che casca il proverbiale asino: sotto la superficie di questa apparente emancipazione, si cela un doppio stigma. Da un lato, la società continua a privilegiare le coppie: dalle agevolazioni fiscali alla possibilità di condividere spese e responsabilità, essere in coppia è spesso più conveniente e socialmente riconosciuto. Dall'altro, alle persone single viene chiesto non solo di accettare la loro condizione, ma di celebrarla con entusiasmo, quasi politicizzandola.

La narrazione dominante impone quindi di essere "empowered", "badass" a cui è vietato esprimere il desiderio di abitare dentro a una relazione, perché viene visto come una debolezza, un tradimento dell'autosufficienza che ci si aspetta. Ma poi tutto attorno si subisce una spinta feroce a trovare un'anima da inserire nei contatti di emergenza. Questo doppio vincolo è particolarmente gravoso per le donne - e quando mai - storicamente più soggette a pressioni sociali riguardo al matrimonio e alla maternità. Oggi, devono dimostrare di essere felici da sole, guai a desiderare apertamente una relazione che poi sembrano incomplete o bisognose. Ma lepolitiche pubbliche e l’organizzazione economico-sociale puniscono apertamente la singletudine. I single pagano più tasse, ricevono meno sussidi e, spesso, hanno meno accesso a strumenti di welfare. I bonus casa, i bonus figli, i sostegni al reddito sono pensati quasi esclusivamente per le famiglie regolarmente coniugate (meglio se con figli).

L’adozione da parte di single è ancora difficile o, in molti casi, legalmente impedita. L’emergenza abitativa è forse uno dei fronti più evidenti di questa discriminazione implicita e lo è di più per le donne. Vivere da soli, da sole, in molte città italiane è un lusso: i costi degli affitti sono insostenibili con un solo stipendio e mancano soluzioni abitative accessibili. Questo significa che molte persone, anche adulte e indipendenti, sono costrette a condividere case o a rimandare l’autonomia.

la pressione sociale a "essere felice" in una società che ti dice anche come lo devi essere

Il messaggio è chiaro: se sei solo, se sei sola, ti arrangi. A complicare tutto, c’è l’eteronormatività culturale che ancora regge la nostra società come un pilastro: il modello di relazione di riferimento è quasi sempre quello di coppia eterosessuale, monogama, con figli. Tutto ciò che esce da questa forma — che si tratti di famiglie queer, poliamorose o vite solitarie ma affettivamente ricche — viene spesso ignorato, ridicolizzato, non riconosciuto e spinto ai margini.

Anche quando si parla di “famiglia”, si tende a dare per scontato che esista un solo modo di esserlo. Questa marginalizzazione strutturale non viene controbilanciata dalla retorica della "single positivity" che domina i social e i media lifestyle. Anzi, rischia di occultarla. Perché se essere single è così “figo”, allora chi si lamenta non ha capito nulla, giusto? Ma la verità è che la felicità non si impone per decreto, né per hashtag. Si può essere single e appagati, appagate, ma anche soli e affaticati. E no: non è giusto chiedere alle persone di abbassare i loro standard per trovare una persona con cui dividere le bollette e fare coppia nelle feste comandate.

cosa significa "bastarsi"

Si può anzi si deve desiderare una relazione senza trasformarsi in “dipendenti affettivi”. Si può desiderare un figlio, una casa, un/a compagno/a di vita o di un tratto di essa senza cascare nel giudizio. Liberarsi dagli stigmi della singletudine — vecchi e nuovi — non significa celebrare acriticamente l’autonomia individuale, ma riconoscere la pluralità dei bisogni di ciascuno, ciascuna.