Cosa sarebbe successo se avessi scelto te? Se avessi bussato a quella porta invece di voltarmi, se avessi mandato quel messaggio che non ho mai avuto il coraggio di scrivere? In Sliding Doors Gwyneth Paltrow ci mostrava come basta un attimo, una coincidenza, per cambiare il corso di un’intera vita. Ma non tutte le strade che non abbiamo preso sarebbero state migliori: alcune erano solo una bella favola da tenere nella mente, con il sorriso.
E a te è mai successo di chiederti come sarebbe andata la tua vita se avessi preso un’altra strada?
Teresa Cinque: “L’amore di mio padre per mia madre era un amore patriarcale”.Racconto
Tutto è cominciato con un suono familiare: dieci notifiche sul telefono. Mi ero assentata giusto qualche minuto, eppure era bastato per farmi precipitare in un passato che credevo archiviato.
Era Valerio.
Valerio.
Ci siamo lasciati nel 2009. Sedici anni fa. Eppure, ogni tanto, lui mi scrive ancora. All’inizio mi sembrava impossibile anche solo rispondergli: c’era troppo dolore, troppi ricordi da lasciar sedimentare. Ma con gli anni abbiamo imparato a farlo con leggerezza, come due persone che hanno condiviso un pezzo di vita e ora si osservano da lontano.
Di solito mi aggiorna su Ettore, il suo amico di Montecarlo che colleziona disastri sentimentali tra Panama e la Costa Azzurra. Ettore ha superato i cinquanta, ma la sua regola di ingaggio è rimasta la stessa dai trent’anni: “minore o uguale a 25 anni”.
Scuoto la testa, sorrido appena e apro i messaggi di Valerio. Mi saluta come sempre, poi mi manda una foto: le sue bambine. Due. La più piccola, Claudia, è appena nata. Che bella.
Non ho mai conosciuto sua moglie, so solo che si chiama Marta ed è bionda. E se devo essere sincera, ho sempre pensato che fosse lei il vero motivo della nostra rottura. Forse ero paranoica. O forse no.
Valerio era il classico gentleman con un retrogusto di caos emotivo. Cresciuto a Londra in una famiglia italiana milionaria emigrata per paura di rapimenti negli anni ’80. Il padre era rimasto in Italia, ma se n’era andato presto, stroncato da un infarto. Valerio aveva ereditato la timidezza e quella forma di intelligenza acuta che riconosci subito nei “gifted”. E anche un carico emotivo che nessuno della sua famiglia sembrava pronto a gestire.
Mi piaceva come scendeva dalla macchina e mi apriva la portiera. Che fosse una Ferrari o una Smart, il gesto era sempre lo stesso. Mi piaceva come nella hall della sua villa, al tramonto, si sedeva al pianoforte e mi suonava qualcosa. Avevo sempre sognato un uomo che sapesse suonare il pianoforte.
E poi Harvard, i racconti della sua vita tra studio e conservatorio, le prime estati insieme in Costa Azzurra.
Ricordo l’ultima estate a Montecarlo. Lo sentivo distante, scivolarmi via come sabbia tra le dita. Controllavo ogni dettaglio, ogni capello sulle giacche, ogni risposta troppo breve. Non era da me, ma la me di allora non sapeva più come farsi vedere.
La nostra chat su MSN – centinaia di messaggi nelle prime settimane – era diventata un deserto di silenzi. L’ultimo mio messaggio: “Ciao, ma tutto ok?” dopo due giorni senza una parola.
Lui rispose: “Sono appena arrivato a Londra e ci sono sti cazzo di topi in casa.”
Mi ricordo perfettamente dov’ero: stavo attraversando la strada all’Arco della Pace, costeggiando Parco Sempione. Le strisce pedonali mi sembravano un salto a ostacoli, un po’ per il caldo di fine agosto, un po’ per quella risposta che aveva bruciato l’ultima speranza rimasta.
Sembrava davvero l’atteggiamento di chi aveva già un’altra in lista.
Pochi giorni dopo, gli scrissi che tanto non funzionava, di lasciarci. Non mi ha mai risposto.
Mi ci sono voluti cinque anni per smettere di amarlo. Un lustro intero. Ma ora va bene così.
Eppure, seduta sul divano con quelle foto davanti, mi chiedo: come sarebbe stata la mia vita se avessi avuto il coraggio di chiedergli cosa non andava? Se avessi rotto la sua cortina di silenzi per avere risposte?
Forse vivrei a Montecarlo, in quell’attico sul mare che mi aveva fatto vedere. Quello con le grandi finestre aperte sull’orizzonte. Avremmo – li avrei anch’io – due bambini, e magari un terzo in arrivo. Giocheremmo sulla spiaggia al tramonto, dopo il lavoro.
Ma poi penso al presente. So che Valerio è sempre molto stressato. I suoi problemi di salute sono peggiorati, vive nel costante timore di minacce da aziende concorrenti non troppo legali. La sua famiglia è rimasta a Montecarlo, ma quando torna in Italia è sempre solo.
Mi sembra una rivisitazione della storia dei suoi genitori. E mi chiedo: se fossi stata io al posto di Marta, ora sarei felice? O solo una vedova emotiva con una casa sul mare?
Gli mando un messaggio: “Le bimbe sono bellissime ❤️”
Un po’ per loro, un po’ per lui.
Ho ricordi davvero felici insieme, ma allora mi sentivo un’isola esclusa dal resto del mondo in cui viveva. E alla lunga mi stava stretto.
Forse aveva ragione lui a tenermi fuori. Ma così non costruisci. Così tiri su muri.
Ancora rivedo quella ragazza col vestitino blu, appoggiata alla Ferrari Modena, che aspetta Valerio sul lungomare di Monaco. Mi manca vederlo arrivare sorridente con due gelati in mano. Me ne passa uno, mentre l’altro si scioglie tra le nostre dita.
La porta di casa si apre. È il mio compagno con la spesa. Mi sorride e mi bacia la fronte, mentre il gatto si mette in mezzo a noi con un “meo” di disapprovazione, come al solito.
Sorrido.
Credo che, alla fine, la porta girevole che ho scelto sia stata quella giusta per me.
Quella con Valerio è stata una – bella – favola. Ma era solo una favola.
Non tutte le sliding doors vanno attraversate: alcune restano lì per insegnarti chi sei oggi.
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