C’era una volta, alla fine degli anni Ottanta, una casa di San Francisco piena di persone, risate, disastri domestici e tre bambine. Non c'erano "genitori" in senso stretto, c'era solo un papà. Eppure era piena di figure genitoriali. È la trama di Gli amici di papà, sit-com americana trasmessa in Italia dal 1989 e di nuovo dal 1996.
Perché ne parliamo: pare che le circostanze attuali stiano spingendo molti genitori verso il famoso "villaggio" citato nel proverbio africano.
Come si diventa adulti? In due: ecco Matilda De Angelis e Yuri Tuci nel trailer de "La vita da grandi", dal 3 aprile al cinemaIl che ovviamente non è un male: molti studi elencano i vari benefit per i piccoli, in particolare uno studio cinese sul co‑parenting di alta qualità dimostra che un supporto condiviso migliora il regolamento emotivo e il comportamento prosociale dei bambini.
"gli amici di papà": oggi è una realtà necessaria
La sit com, oggi diremmo "serie", Gli amici di papà cominciava con la morte della madre. E il protagonista si ritrovava da solo con tre figlie da crescere. Ma non ci rimane per molto: suo cognato Jesse (il mitico John Stamos, con ciuffo imperturbabile) e il suo migliore amico Joey si trasferiscono da lui per aiutarlo con le bambine, tra cui la piccola Michelle, interpretata da entrambe le gemelle Olsen.
Quella casa, caotica ma un vero spazio sicuro e di cura, è diventata l’archetipo di una famiglia “alternativa”, dove amici e parenti si mettono insieme per crescere dei figli: non per obbligo, ma per scelta. E pare che oggi sempre più genitori stanno cercando, spesso senza rendersene conto, di ricreare un villaggio simile. Non tanto (o non solo) sotto lo stesso tetto, ma certamente sotto lo stesso intento: non crescere i figli da soli, da sole.
Quando i nonni non ci sono (o sono a millemila chilometri)
Negli ultimi anni, complici la mobilità lavorativa, la precarietà economica e un welfare piuttosto sfilacciato, molte famiglie si trovano a crescere figli lontano dai propri genitori o parenti stretti. Il mito dei nonni sempre pronti all’asilo gratuito si infrange facilmente, e molte madri, soprattutto, si ritrovano isolate, senza una rete di supporto. In questo vuoto, chi resta? Gli amici, le amiche.
Quelli che portano una cena pronta, che tengono i bambini un’ora per farti fare una doccia in pace, o che ascoltano senza giudicare, che collaborano con il loro tempo, le loro risorse emotive, la loro cultura e le loro energie alla crescita di quel piccolo essere umano come un tempo facevano nonni e zii. Questo fenomeno ha preso anche un nome: chosen family, la famiglia scelta. Si tratta di gruppi di amici che decidono di sostenersi nella genitorialità, a volte anche organizzandosi con turni, co-living o semplicemente ritmi condivisi.
Un esempio emblematico sono le “mommuni”, collettività di mamme single che vivono o si incontrano regolarmente per dividersi il carico. In Italia il fenomeno è meno strutturato, ma c’è un’eco crescente: gruppi WhatsApp tra genitori che si trasformano in micro-comunità operative, co-housing tra amici, e reti di “adozione reciproca” tra adulti che diventano zii e zie simbolici.
"a grand experiment"
In un editoriale dal titolo "A Grand Experiment in Parenthood and Friendship” pubblicato su The Atlantic leggiamo di un esperimento, appunto: un gruppo di amici con un totale di quattro bambini piccoli, nel 2023, ha deciso di trasferirsi a Washington D.C. in un agglomerato di case tutte vicine: una casa per la coppia, una per i loro migliori amici, e una per una terza coppia. L’obiettivo era di costruire un ecosistema di supporto reciproco, dove i bimbi potessero passare liberamente da una casa all’altra.
Perché farlo? Negli Stati Uniti, come in Italia, come in gran parte dell'Occidente, la genitorialità è spesso sinonimo di isolamento. Diversamente, in molte culture e storicamente, qualcuno che aiuta a crescere i figli c'è sempre stato: l'abbiamo perso con l'industrializzazione e il mito della famiglia nucleare.
Costruire una rete tra amici offre quell'antico supporto (emotivo e pratico) di una grande famiglia, ma in modo volontario e flessibile. In conclusione questo “esperimento” mostra un’alternativa valida alla famiglia nucleare, per sua natura isolata.
ogni adulto/a trasmette un pezzetto del proprio mondo (e cura)
Il vecchio proverbio africano dice che per crescere un bambino ci vuole un villaggio. E non è solo saggezza popolare: la psicologia contemporanea lo conferma. Uno studio pubblicato sulla rivista Early Child Development and Care ha evidenziato che i bambini che crescono con più adulti di riferimento mostrano maggiore flessibilità cognitiva, competenze sociali più sviluppate e una maggiore capacità di regolazione emotiva.
La presenza di amici adulti attorno ai figli consente anche una sorta di “osmosi educativa”: ogni adulto trasmette un pezzetto diverso del mondo, un altro modo di vedere le cose, alternative possibili, rifugio, cura.
Non serve vivere tutti insieme: l'idea non è quella di creare una comune hippy ma di essere intenzionali. Bastano gesti piccoli ma regolari: organizzare pranzi condivisi la domenica, alternarsi nel prendere i bambini a scuola, fare gruppo per attività extrascolastiche. Anche in assenza di convivenza, ciò che conta è la continuità e la fiducia. In fondo, crescere figli con gli amici significa dire: non sei solo, né come genitore né come bambino.