Nel calcio di oggi, un attaccante come Antonio Di Natale si sentirebbe perfettamente a suo agio, anzi, di più. L'ex capitano dell'Udinese, sesto marcatore di sempre della Serie A con 209 reti, non usa mezzi termini durante una chiacchierata con l'amico ed ex collega Luca Toni per il format "Fenomeni" di Prime Video Sport. "Gli attaccanti della nostra generazione oggi potrebbero segnare 40 gol", afferma con sicurezza.
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Una provocazione che nasconde una critica precisa al calcio contemporaneo. Secondo Totò, i difensori moderni amano l'uno contro uno, fiduciosi che gli avversari non abbiano più la stessa cattiveria di un tempo. "Alla squadra dicevo sempre di lanciarmi solo se ero in uno contro uno, perché allora sì che puntavo per segnare".
Questa mentalità, questa fame di gol, non era un dono piovuto dal cielo, ma il frutto di un lavoro quasi ossessivo. "Mi svegliavo la mattina e mi dicevo 'ora faccio gol'", racconta Di Natale. La predisposizione naturale contava, certo, ma era la dedizione a fare la differenza. "Lo sentivo nel sangue e in testa, sapevo cosa dovevo fare e come allenarmi: facevo trecento tiri in porta ogni mercoledì". Un rituale che trasformava le prove in certezze, perché le situazioni cercate in allenamento si ripresentavano puntualmente la domenica, e lui era pronto a incidere. Una fame che lo ha portato a segnare 23 gol per due stagioni consecutive, senza però riuscire a vincere la classifica marcatori, in un'epoca in cui doveva vedersela con difensori del calibro di Costacurta, Nesta e Thuram.
La sua carriera, però, è segnata tanto dai gol quanto dalle scelte controcorrente. In un mondo del calcio sempre più dominato da logiche economiche e dal potere degli agenti, la sua fedeltà all'Udinese suona quasi anacronistica. "Un giorno a fine allenamento avevo cento chiamate del mio procuratore: la Juventus aveva venduto Diego e voleva me". La proposta era concreta, l'accordo quasi fatto, ma per lui mancava il tassello più importante. "Per me non lo era. Avevo un rapporto forte con la città, volevo prima parlare con il Presidente". E così fece, comunicando la sua volontà di restare, a meno che non fosse la società a volerlo cedere per necessità. La trattativa sfumò. Ma la Juventus non fu l'unica grande a bussare alla sua porta.
"Mi cercò anche il Real Madrid, ero vicino al Liverpool e forse è stata l’unica società su cui davvero ho fatto un pensiero, ero anche andato a vedere le strutture".
Nessun rimorso, però. La sua priorità era la tranquillità, il piacere di giocare lontano dai riflettori. Voleva essere una bandiera, come Totti, Del Piero o Maldini, e ha mantenuto la parola data, anche dopo il ritiro, rifiutando le proposte di dieci club di Serie A. Una scelta impossibile oggi, conclude, "perché comandano i procuratori".