Quando la luce del sole colpisce una foglia, l’energia viaggia in pochi istanti attraverso strutture proteiche, fino a trasformarsi in carburante vitale per la pianta. Questo processo, alla base della fotosintesi, è talmente rapido ed efficiente che da decenni i fisici si chiedono se a guidarlo non ci sia un ingrediente nascosto: la meccanica quantistica. Un nuovo studio della Rice University sembra fornire una risposta affermativa, indicando nell’entanglement quantistico uno strumento naturale per velocizzare il movimento dell’energia.
I ricercatori hanno creato un modello molecolare semplificato con due estremi: un donatore, che assorbe energia, e un accettore, dove l’energia deve arrivare. Tra i due poli, l’energia poteva muoversi compiendo “salti” successivi, corti o lunghi, soggetti a disturbi ambientali come vibrazioni. La domanda centrale era chiara: il trasferimento è più rapido se l’energia parte concentrata in un punto oppure se inizia diffusa in una sovrapposizione quantistica su più siti?
Le simulazioni hanno rivelato che la seconda opzione vince nettamente. Quando l’energia si trova in uno stato entangled e delocalizzato, i tempi di trasferimento risultano costantemente più rapidi. “Delocalizzare l’eccitazione iniziale accelera il processo in modi che un punto singolo non può ottenere”, ha spiegato Guido Pagano, fisico e astronomo coinvolto nello studio. Il vantaggio resiste persino alla presenza di rumore esterno, poiché lo stato quantistico offre più percorsi possibili all’energia, aumentando le chance di arrivare rapidamente all’accettore.
Il risultato porta a un’ipotesi affascinante: la natura stessa potrebbe sfruttare coerenza ed entanglement per rendere più robusti e veloci i suoi processi fondamentali. Questo meccanismo, se confermato, non solo spiegherebbe l’efficienza sorprendente della fotosintesi e di altri fenomeni biologici, ma fornirebbe anche ispirazione per la tecnologia umana.
Pannelli solari e sistemi artificiali di raccolta della luce potrebbero infatti imitare le “strategie quantistiche” delle piante, riducendo perdite e migliorando le prestazioni. La ricerca apre quindi un ponte tra fisica quantistica e biologia, due mondi che spesso sembrano distanti ma che, in realtà, potrebbero condividere principi comuni.
Gli autori sottolineano che si tratta di un modello intenzionalmente semplice, ma già utile a orientare test sperimentali su piattaforme quantistiche controllabili, come i sistemi a ioni intrappolati. “Il nostro obiettivo è collegare il linguaggio dell’informazione quantistica con i meccanismi tangibili della biologia”, ha commentato Diego Fallas Padilla, primo autore dello studio. Per chi volesse approfondire, lo troviamo pubblicato sulla rivista PRX Quantum.