La possibilità che i fulmini possano favorire l’origine della vita su altri pianeti ha affascinato scienziati e appassionati di astrobiologia per decenni. Ma secondo nuove simulazioni atmosferiche, le scariche elettriche su esopianeti con caratteristiche simili a quelle di Proxima b — il vicino planetario più promettente — potrebbero non essere né sufficienti né adeguatamente distribuite per generare i composti chimici essenziali alla vita.
Lo studio, condotto da Denis Sergeev dell’Università di Bristol, ha esplorato attraverso modelli meteorologici avanzati il comportamento dei fulmini su un ipotetico pianeta in rotazione sincrona, come si ritiene sia Proxima b. Ciò significa che un emisfero del pianeta è perennemente rivolto verso la sua stella madre, la debole e instabile nana rossa Proxima Centauri, distante poco più di quattro anni luce da noi. A causa della rotazione bloccata, la distribuzione dell’energia solare è fortemente sbilanciata, un fattore che influenza profondamente le dinamiche atmosferiche e meteorologiche.
Le simulazioni hanno rivelato che questi pianeti possono effettivamente generare tempeste elettriche, ma con caratteristiche molto differenti da quelle terrestri. Invece dei circa 100 fulmini al secondo che si registrano sulla Terra, su un pianeta con un’atmosfera simile ma meno densa (circa un quarto della pressione atmosferica terrestre), si osservano solo pochi fulmini al secondo. Se la pressione atmosferica aumenta, la situazione peggiora: con una pressione dieci volte superiore a quella terrestre, si arriva a un solo fulmine ogni diversi minuti.
La fonte del problema risiede nella formazione di celle convettive, fondamentali per generare nubi e attriti tra particelle che innescano le scariche. Con pressioni più alte, tali movimenti atmosferici vengono soppressi, e il potenziale elettrico non riesce a raggiungere livelli sufficienti per originare fulmini.
Anche la localizzazione dei fulmini su questi pianeti è poco favorevole. L’energia solare, concentrata solo su un lato del pianeta, dà origine a potenti correnti a getto che trasportano calore dal lato diurno al lato notturno. Le scariche elettriche tendono così a concentrarsi in una fascia ristretta — talvolta sul lato diurno, talvolta lungo la linea di separazione tra giorno e notte — lasciando gran parte della superficie planetaria priva di questo stimolo energetico.
Sulla Terra primordiale, i fulmini furono probabilmente essenziali per la formazione di composti prebiotici come gli amminoacidi, partendo da una miscela di gas semplici. In assenza di ossigeno atmosferico, questi eventi erano una delle poche fonti energetiche capaci di scindere molecole e permettere la sintesi di nuove sostanze complesse. Tuttavia, se i fulmini su Proxima b sono tanto rari e localizzati, risulta difficile immaginare un processo analogo.
La ricerca solleva anche interrogativi importanti sull’abitabilità dei pianeti attorno a stelle nane rosse, oggi considerati candidati ideali per la scoperta di forme di vita. Se da un lato questi corpi celesti offrono condizioni termiche compatibili con l’acqua liquida, dall’altro le loro dinamiche climatiche potrebbero limitare l’insorgere di processi biochimici essenziali.
Nonostante ciò, il discorso resta aperto. La complessità della vita e le sue molteplici strade evolutive potrebbero sorprenderci ancora. Ma almeno per quanto riguarda il ruolo dei fulmini, le simulazioni suggeriscono che, su mondi come Proxima b, la scintilla dell’esistenza potrebbe non arrivare mai.