Una delle sfide più imponenti sulla via verso l'energia pulita e quasi illimitata della fusione nucleare è la gestione delle temperature infernali all'interno dei reattori. Contenere un plasma più caldo del nucleo del Sole richiede materiali non solo resistenti, ma anche "intelligenti".
Eppure, un metallo leggero e già noto per le batterie, il litio, sta emergendo come un candidato sorprendentemente efficace per le pareti interne dei tokamak, i reattori a fusione a forma di ciambella. Un recente studio, frutto di una collaborazione globale tra nove istituzioni, ha messo in luce comportamenti unici del litio che potrebbero rappresentare un passo avanti significativo nella progettazione dei futuri impianti energetici.
L'idea di utilizzare il litio non è del tutto nuova, ma le sue proprietà si stanno rivelando ancora più vantaggiose del previsto. I ricercatori, lavorando presso l'impianto tokamak DIII-D gestito da General Atomics in California, hanno evidenziato come questo metallo possa agire come una sorta di scudo multifunzione.
Se le temperature della parete del reattore diventano sufficientemente elevate, il litio può fondere, creando uno strato liquido auto-riparante che protegge i componenti più esposti al calore devastante del plasma. A temperature ancora più alte, può addirittura formare uno scudo di vapore gassoso, un'ulteriore barriera protettiva.
Ma i vantaggi non si fermano alla semplice protezione, poiché il litio ha la capacità di assorbire gli atomi di combustibile (idrogeno) invece di respingerli. Questo aiuta a stabilizzare il bordo del plasma, migliorando il confinamento dell'energia e permettendo al reattore di operare a densità di potenza maggiori, un aspetto chiave per rendere i tokamak più compatti ed efficienti.
La vera novità emersa dalla ricerca, pubblicata sulla rivista Nuclear Materials and Energy, riguarda il modo migliore per applicare questo prezioso alleato. Gli scienziati hanno messo a confronto due approcci: il primo prevedeva di rivestire le pareti interne del tokamak con uno strato di litio prima dell'esperimento; il secondo consisteva nell'iniettare polvere di litio direttamente nel reattore durante la reazione di fusione.
I risultati hanno indicato che la seconda opzione, l'iniezione "in corso d'opera", è nettamente più efficace nel creare un profilo di temperatura uniforme dal nucleo rovente del plasma fino ai suoi bordi più freddi. Questa stabilità è fondamentale per sostenere la reazione di fusione nel tempo. Come sottolineato da Florian Effenberg del Princeton Plasma Physics Laboratory (PPPL), che ha supervisionato la ricerca, l'iniezione di polvere offre un ponte pratico verso l'obiettivo finale di pareti completamente liquide di litio. Questa tecnica permette di "condizionare" le pareti metalliche, come quelle in tungsteno, rendendole più tollerabili per il plasma. Curiosamente, lo studio ha anche rilevato che lo spessore del rivestimento di litio applicato prima dell'operazione non influisce in modo significativo sulla quantità di combustibile che rimane intrappolato nelle pareti, un potenziale problema che, grazie a queste scoperte, appare più gestibile. I risultati di questa ricerca sono così promettenti che si sta già pianificando di includere un iniettore di litio e, in futuro, componenti con litio liquido nell'esperimento NSTX-U del PPPL, aprendo la strada a reattori di nuova generazione.