Garlasco, la nuova "serie tv" che tiene col fiato sospeso l'Italia: quando la cronaca diventa finzione

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(La redazione di fem) May 22, 2025 · 4 mins read
Garlasco, la nuova
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Diciotto anni dopo il delitto di Chiara Poggi, i testimoni si moltiplicano come colpi di scena in una serie TV. Perché ora? E perché il caso sembra guidato più da Le Iene e Fabrizio Corona che da un tribunale? La risposta è nei silenzi di ieri e nei riflettori di oggi. Omicidio di Garlasco, Corona show davanti alla Procura

Ogni settimana un dettaglio, una voce, un oggetto ritrovato. Ogni giorno una nuova pista, una vecchia incertezza, una testimonianza rispolverata dopo quasi due decenni. Il caso Garlasco, che avrebbe dovuto chiudersi nel 2015 con la condanna definitiva di Alberto Stasi, oggi sembra più una serie tv in diretta che un’inchiesta giudiziaria. Un intrigo nazionale a puntate, alimentato da talk show, docuserie e scoop, dove ognuno sembra avere qualcosa da dire—ma solo quando le telecamere sono accese.

Perché parlano solo ora? La questione dei testimoni tardivi nel caso Garlasco

A distanza di 18 anni, emergono nuovi testimoni e nuove dichiarazioni. Persone che all’epoca tacquero o che non furono mai ascoltate. È successo con l’uomo che ha raccontato il panico di Stefania Cappa nel giorno del delitto, è successo con la donna che sostiene di aver udito parole durissime su Chiara Poggi da una delle cugine della vittima. È successo con chi, leggendo un’intervista, si è sentito “provocato” e ha deciso di raccontare la propria verità. Perché ora? Perché così tardi?

Il tempo del silenzio, il tempo dello share

Nel loro silenzio lungo anni, c’è la paura, forse. Ma anche una dinamica più sottile: il tempo della giustizia non è quello della televisione. Eppure, negli ultimi mesi, è bastata una puntata de Le Iene, un annuncio di Fabrizio Corona, un articolo su Chi l’ha visto?, per riaccendere memorie, rancori, sospetti. Come se la verità potesse emergere solo quando ha una buona audience. Ma se la pressione mediatica smuove, quanto distorce?

Avetrana non ci ha insegnato nulla

Chi ha visto Avetrana – Qui non è Hollywood, serie ispirata all’omicidio di Sarah Scazzi, conosce questa traiettoria. La cronaca che si trasforma in format. Il dolore che si impasta con l’intrattenimento. Le madri che diventano personaggi, gli indagati che prendono parola in prima serata, i testimoni che si contraddicono come in un reality. Invece di imparare da quella vicenda, Garlasco sembra averne replicato la struttura. Ma qui non è Hollywood. E non dovrebbe esserlo.

La verità come fiction, la cronaca come serie

Nel caso Poggi, ogni nuova testimonianza viene trattata come un colpo di scena. Ogni indagato come un protagonista controverso. Ogni oggetto ritrovato—un attizzatoio, un martello—viene raccontato come il potenziale “MacGuffin” della trama. Ma se la cronaca nera assume le forme di una serie crime, allora anche la nostra attenzione si adatta: cerchiamo coerenza, twist narrativi, personaggi da amare o odiare. Non giustizia, ma intrattenimento.

Dieci suicidi in un paese da 8.000 abitanti, Garlasco "la Twin Peaks italiana"

Garlasco è un comune piccolo, quasi familiare. Eppure, dieci persone si sarebbero tolte la vita nei quindici anni successivi al delitto. Alcuni casi appaiono subito anomali, altri si intrecciano direttamente con la vicenda Poggi. Un numero che solleva più domande che risposte e che ha fatto sì che Garlasco venisse immediatamente ribattezzata la "Twin Peaks italiana". Forse ci stiamo abituando troppo a trasformare l’orrore in un format da binge watching.

Il pubblico come giuria parallela

Nel tribunale mediatico, le posizioni si estremizzano. O si è “Team Stasi”, o si sostiene la pista alternativa. L’opinione pubblica è diventata giuria popolare, senza accesso agli atti ma con tanto spazio sui social. E ogni nuova dichiarazione non viene letta con spirito critico, ma con gli occhi di chi guarda una stagione nuova della sua serie preferita. In questo scenario, la verità processuale rischia di diventare solo una versione tra le tante.

Il ruolo dei media e dei personaggi, da Le Iene a Fabrizio Corona

Non è solo colpa di chi guarda. I programmi che seguono l’inchiesta hanno il merito di aver riportato alla luce documenti e voci dimenticate. Ma nel farlo, usano un linguaggio da fiction, trasformano la cronaca in narrazione, giocano con i tempi e le emozioni.

Il dolore delle famiglie in pasto all’audience

Nel frattempo, ci sono i vivi. Le famiglie, prima di tutto. Quella di Chiara Poggi, che rischia di vedere messa in discussione l’unica certezza che dà un senso al lutto: la condanna di un colpevole. E quella di Alberto Stasi, che potrebbe aver visto un figlio innocente passare dieci anni in carcere. In entrambi i casi, il dolore si consuma in pubblico, amplificato e deformato. Perché ogni emozione, oggi, deve fare ascolto.

Una verità che slitta sempre avanti

Mentre il clamore cresce, la verità giudiziaria sembra arretrare. L’impronta di Andrea Sempio sul muro, il DNA sotto le unghie, le voci sulle cugine: tutto si aggiunge, nulla si chiarisce. Ogni elemento nuovo non chiude, ma apre. Ogni pista è una possibilità, ogni testimone è una memoria traballante. E la verità diventa mobile, sfuggente, quasi un effetto ottico. Si sposta a ogni sguardo. Si adatta al formato.

La domanda che resta