Un team di Scienziati di Singapore ha messo a punto un tipo di ghiaccio che ha la capacità di catturare il metano in appena due minuti. Ma non è tutto, poiché lo fa con una velocità fino a 80 volte superiore rispetto ai metodi tradizionali e una capacità di stoccaggio trenta volte maggiore rispetto al ghiaccio comune.
Il metano, componente chiave del gas naturale e del biometano, è oggi un tassello fondamentale nel mix energetico. Tuttavia, la sua gestione comporta sfide significative: le tecniche convenzionali richiedono serbatoi ad alta pressione o temperature di −162 °C per la liquefazione, entrambe soluzioni energivore e costose. Un’alternativa teoricamente valida, nota come “gas naturale solidificato”, prevede l’intrappolamento del metano in strutture simili al ghiaccio, i cosiddetti idrati. Ma finora il processo era troppo lento per essere competitivo su larga scala.
Il team guidato dal professor Praveen Linga ha trovato un escamotage semplice ma efficace: congelare acqua contenente una piccola quantità di amminoacidi naturali. Questi composti, i mattoni delle proteine, modificano la superficie del ghiaccio e permettono al metano di legarsi molto più rapidamente. Test di laboratorio hanno mostrato che il ghiaccio così trattato si trasforma in un solido bianco e poroso, segno della formazione di idrati. Nel giro di poco più di due minuti, il materiale raggiungeva il 90% della sua capacità, mentre con ghiaccio normale l’operazione richiederebbe ore.
Il segreto risiede nell’azione degli amminoacidi idrofobici, come il triptofano, che creano sottili strati liquidi quando il gas viene immesso. Questi strati favoriscono la crescita dei cristalli, accelerando la cattura del metano e formando una sorta di “spugna ghiacciata”. Con il ghiaccio tradizionale, invece, si crea una barriera compatta che ostacola la diffusione del gas.
Gli scienziati hanno utilizzato anche la spettroscopia Raman per osservare il fenomeno a livello molecolare, scoprendo che il metano si organizza in minuscole gabbie con un’efficienza superiore al 90%. Il risultato è un materiale riutilizzabile, biodegradabile e privo degli effetti collaterali tipici dei tensioattivi chimici, come la formazione di schiuma. Un ulteriore vantaggio è la possibilità di rilasciare il gas a richiesta semplicemente con un lieve riscaldamento, ricongelando poi il materiale per un nuovo ciclo di utilizzo.
Questa tecnologia, ancora in fase di prova di concetto, ha già mostrato prestazioni migliori rispetto a materiali avanzati come i metallo-organic frameworks e le zeoliti, sia per velocità sia per capacità di accumulo, a temperature vicine allo zero e pressioni moderate. Potrebbe rivelarsi particolarmente utile per immagazzinare biometano prodotto su piccola scala da impianti agricoli o rifiuti organici, un settore che necessita di soluzioni flessibili e poco impattanti.
Il prossimo passo per i ricercatori sarà scalare la tecnologia e testarla con miscele di gas naturale, esplorando anche la possibilità di applicarla ad altri composti come l’anidride carbonica e l’idrogeno. Nel frattempo, i risultati completi dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications (link in FONTE).