Come vi abbiamo raccontato in precedenza, il 20 maggio 2025, il presidente Donald Trump ha sorpreso l’opinione pubblica annunciando il progetto Golden Dome, un sistema di difesa antimissile che ambisce a coprire l’intero territorio statunitense. Non si tratta soltanto di un’estensione delle capacità esistenti: nelle intenzioni, Golden Dome dovrebbe contrastare minacce di ogni tipo — dai missili balistici fino a quelli ipersonici e persino gli attacchi provenienti dallo spazio. Un obiettivo ambizioso, supportato da un primo stanziamento di 25 miliardi di dollari (circa 23,3 miliardi di euro), all'interno di un piano che prevede una spesa complessiva di 175 miliardi di dollari (circa 163 miliardi di euro).
L’annuncio è arrivato con la promessa di rendere il sistema operativo entro tre anni. Ma è davvero realizzabile un progetto di questa portata in così poco tempo? Iain Boyd, professore di ingegneria aerospaziale all'Università del Colorado e direttore del Center for National Security Initiatives, ha spiegato i punti chiave del programma, evidenziandone limiti, potenzialità e difficoltà tecniche.
Cominciamo col dire che negli ultimi anni Russia, Cina, Corea del Nord e Iran hanno sviluppato missili capaci di eludere i tradizionali scudi antimissile statunitensi come il Patriot. Le nuove armi, in particolare quelle ipersoniche, sono estremamente veloci, capaci di manovrare e volare a quote intermedie che le rendono difficili da intercettare. È proprio su questi presupposti che si basa la spinta verso un sistema come Golden Dome, che andrebbe a rafforzare la rete già esistente con sensori e intercettori potenziati.
Il funzionamento di Golden Dome si basa su una rete stratificata di rilevamento e risposta: sensori a terra, in mare, in volo e nello spazio dovrebbero monitorare costantemente i cieli, individuando le minacce nella fase iniziale del lancio. Gli intercettori, posizionati strategicamente sul territorio, entrerebbero in azione nella fase intermedia o finale della traiettoria del missile. Un elemento chiave sarà il potenziamento della componente spaziale, considerata cruciale per tracciare i missili ipersonici, data la loro velocità e capacità di manovra.
A differenza dell’Iron Dome israeliano — sistema ormai consolidato, ma pensato per attacchi su scala locale — Golden Dome mira a difendere un intero continente da minacce sofisticate e costose. La promessa, però, di una protezione "vicina al 100%" è stata accolta con scetticismo. Anche i sistemi più evoluti possono essere sopraffatti da attacchi massicci e coordinati. Come sottolinea Boyd, il vero obiettivo è creare una dissuasione efficace: far sì che un potenziale avversario giudichi troppo rischioso e costoso lanciare un attacco, sapendo che esiste una forte probabilità di fallimento.
Sebbene tecnologie rilevanti siano già in fase di sviluppo — in parte grazie a investimenti precedenti — la realizzazione di una rete integrata come quella prevista richiederà inevitabilmente tempi più lunghi. La roadmap tracciata da Trump, pur avendo un impatto politico immediato, appare ambiziosa dal punto di vista tecnico e logistico.
Il Golden Dome, in futuro, potrebbe integrare anche armi a energia diretta, come laser ad alta potenza e microonde, in grado di neutralizzare le minacce senza esaurire costosi intercettori. Un’idea che affascina il settore della difesa, ma che resta per ora una prospettiva a medio-lungo termine.