La fusione nucleare, il processo energetico che alimenta le stelle, è da oltre mezzo secolo considerata il sacro graal dell'energia pulita: una fonte potenzialmente illimitata e priva di emissioni di carbonio. La promessa è quella di replicare sulla Terra la reazione che avviene nel Sole, fondendo nuclei di idrogeno per creare elio e sprigionare un'enorme quantità di energia.
Per funzionare, però, questa tecnologia richiede condizioni estreme, come temperature superiori ai 100 milioni di gradi Celsius. Si tratta di una sfida tecnologica immensa, che vede tutte le principali potenze globali impegnate in progetti e prototipi, con l'intento di trasformare un sogno in realtà.
È proprio in questa visione futuristica che un colosso come Google ha deciso di investire, mostrando una notevole fiducia nel potenziale di questa tecnologia per alimentare i suoi data center, sempre più energivori. L'azienda ha annunciato un accordo per l'acquisto di 200 megawatt di energia "futura e senza carbonio" da Commonwealth Fusion Systems (CFS), una società privata in cui Google stessa è investitrice. CFS sta costruendo il suo impianto pilota in Massachusetts e prevede di connettere la sua prima centrale a fusione alla rete elettrica in Virginia, sede della cosiddetta "data center alley", nei primi anni del 2030. Accordi di questo tipo, noti come "offtake agreement", sono comuni per finanziare nuovi progetti energetici, ma la scommessa sulla fusione si distingue per le sue tempistiche ancora molto incerte.
Tuttavia, mentre lo sguardo è rivolto a un orizzonte così lontano e promettente, la realtà attuale presenta un quadro ben diverso e più problematico. Proprio pochi giorni prima di questo annuncio, Google ha pubblicato il suo ultimo rapporto sulla sostenibilità, dal quale emerge un dato allarmante: le sue emissioni di gas serra sono aumentate di oltre il 50% rispetto al 2019. Un incremento notevole, spinto soprattutto dalla crescente domanda di risorse per lo sviluppo dell'AI, che mette a dura prova l'obiettivo dell'azienda di dimezzare le proprie emissioni entro il 2030. In questo scenario, anche nella più ottimistica delle previsioni, l'energia da fusione non arriverà in tempo per contribuire a raggiungere questo traguardo a breve termine.
"È una tecnologia che, a nostro avviso, può cambiare il mondo", ha dichiarato Michael Terrell, responsabile dell'energia avanzata di Google, sottolineando la volontà di investire ora per concretizzare quel futuro, pur riconoscendo le "serie sfide ingegneristiche e fisiche" ancora da superare. L'investimento in CFS, il cui ammontare non è stato reso noto, si aggiunge ad altri impegni di Google nel settore, come quello in TAE Technologies avviato già nel 2015. La scommessa sulla fusione non è isolata: anche Microsoft ha siglato un accordo simile nel 2023 con Helion Energy, che punta a essere operativa entro il 2028.
Nonostante ciò, molti esperti del settore energetico rimangono cauti, prevedendo che potrebbero essere necessari ancora decenni prima che la fusione diventi un'opzione commercialmente disponibile su larga scala. Nel frattempo, i 200 megawatt dell'accordo con CFS rappresentano una piccola frazione rispetto ai 22.000 megawatt di energia pulita, soprattutto eolica e solare, che Google si è già assicurata con oltre 170 accordi dal 2010, a dimostrazione che le soluzioni immediate si basano ancora su tecnologie consolidate.