Da decenni, i fisici si confrontano con una problematica che cela profonde implicazioni: quanto vive realmente un neutrone libero prima di decadere? Le risposte, fornite da due approcci sperimentali distinti, continuano a divergere senza spiegazioni convincenti. I metodi, detti a "fascio" e a "bottiglia", restituiscono valori differenti per la durata del neutrone: circa 888 secondi nel primo caso e 878 nel secondo. Un divario di dieci secondi, troppo ampio per essere imputato a semplici errori sperimentali.
Un’ipotesi formulata di recente da Eugene Oks, fisico dell’Università di Auburn, tenta di mettere ordine in questo enigma, e potrebbe addirittura spiegare quella componente fuggente dell'universo, chiamata materia oscura. Secondo il ricercatore, il neutrone potrebbe decadere in modo alternativo rispetto al classico processo a tre particelle (protone, elettrone e antineutrino). In un numero non trascurabile di casi, potrebbe invece trasformarsi in un neutrino e in un particolare tipo di atomo di idrogeno “invisibile”.
Questo “idrogeno oscuro” – così definito per la sua totale indifferenza alla luce – sarebbe composto, come quello ordinario, da un protone e un elettrone. Tuttavia, secondo i calcoli basati su una riformulazione dell’equazione di Dirac (che descrive il comportamento quantistico dell’elettrone), tenendo conto della dimensione finita del protone, l’elettrone si troverebbe vincolato a distanze estremamente ridotte dal protone. Tale vicinanza impedirebbe ogni interazione con la radiazione elettromagnetica, rendendo l’atomo totalmente trasparente agli strumenti convenzionali.
Secondo Oks, questa forma “invisibile” di idrogeno non sarebbe affatto un’eccezione statistica irrilevante, come ritenuto finora, ma potrebbe verificarsi in circa l’1% dei decadimenti neutronici. Una percentuale sufficiente a colmare la discrepanza tra le due principali tecniche sperimentali. I metodi a bottiglia, che contano i neutroni direttamente, includerebbero anche quelli che decadono in questa modalità nascosta, mentre quelli a fascio, che rilevano i prodotti visibili del decadimento, li escluderebbero, producendo risultati più lunghi.
Ma le implicazioni della teoria vanno ben oltre il semplice chiarimento di una misura sfuggente. Se questi atomi di idrogeno invisibili esistono davvero, potrebbero rappresentare una parte della materia mancante dell’universo: la materia oscura. A differenza di molte ipotesi che chiamano in causa particelle esotiche e sconosciute, il modello di Oks resta all’interno del quadro della fisica quantistica standard. Gli atomi proposti, pur essendo composti da particelle note, sarebbero non rilevabili dagli strumenti tradizionali, e quindi un candidato ideale per la cosiddetta materia oscura barionica.
Il fisico aveva già collegato nel 2020 questa possibilità con alcune anomalie rilevate nei segnali radio dell’idrogeno primordiale, provenienti dalle prime fasi dell’universo. Tali segnali mostrano un raffreddamento inatteso, che potrebbe essere stato causato proprio dalla presenza di questa forma alternativa di idrogeno.
Attualmente Oks sta lavorando a un esperimento per testare la presenza dell’idrogeno invisibile usando fasci di elettroni. L’obiettivo è osservare eventuali differenze nel comportamento tra la forma ordinaria e quella “oscura” dell’atomo. Se l'esperimento avesse successo, potrebbe fornire entro l'anno una delle scoperte più significative nel campo della fisica delle particelle e nello studio della materia oscura. Il lavoro di Oks è stato pubblicato sulla rivista Nuclear Physics B.