Gli astronomi hanno osservato per la prima volta il “calcio” che spinge via un buco nero appena nato, misurandone velocità e direzione grazie alle onde gravitazionali. Si tratta di un risultato che arriva quasi dieci anni dopo la prima rilevazione di queste increspature dello spazio-tempo da parte di LIGO, l’osservatorio che nel 2015 confermò le previsioni di Einstein.
Quando due buchi neri si fondono, il buco nero “figlio” non rimane fermo: riceve un impulso, un contraccolpo dovuto alla distribuzione irregolare delle onde gravitazionali emesse durante la fusione. Questo fenomeno, noto come recoil, può essere talmente violento da scagliare il nuovo oggetto a velocità di milioni di chilometri orari, sufficienti in alcuni casi a farlo fuggire dalla galassia che lo ospita. La particolarità è che fino a oggi questo effetto non era mai stato quantificato direttamente.
Il gruppo guidato da Juan Calderon-Bustillo, dell’Istituto Galiziano di Fisica delle Alte Energie, ha analizzato il segnale GW190412, registrato nel 2019 da LIGO e Virgo. Si trattava di una fusione tra due buchi neri di masse diverse, condizione che rende più evidente l’asimmetria del segnale e quindi la possibilità di cogliere l’effetto del calcio gravitazionale. Applicando un metodo sviluppato nel 2018, i ricercatori sono riusciti a ricostruire la traiettoria del buco nero figlio, che si è allontanato a circa 180.000 chilometri all’ora, 150 volte la velocità del suono terrestre. Una rapidità che non rappresenta un record assoluto, ma che basta a permettergli di uscire dall’ammasso stellare in cui è nato.
Per comprendere meglio il risultato, gli scienziati hanno paragonato la fusione di due buchi neri a un’orchestra: le onde gravitazionali corrispondono ai suoni prodotti da strumenti diversi e percepiti in maniera differente a seconda della posizione dell’ascoltatore. Proprio questa differenza di prospettiva ha consentito di calcolare il moto tridimensionale di un oggetto distante miliardi di anni luce, utilizzando solo le vibrazioni dello spazio-tempo.
Il passo successivo sarà confrontare i dati delle onde gravitazionali con eventuali segnali luminosi, come lampi o bagliori prodotti se il buco nero si muove attraverso ambienti ricchi di gas e polveri, ad esempio i nuclei galattici attivi. Capire l’orientamento del calcio rispetto alla Terra potrebbe infatti rivelare se un’emissione elettromagnetica è collegata davvero a una fusione di buchi neri o se si tratta di una coincidenza. Lo studio è stato pubblicato su Nature Astronomy.