Il telescopio spaziale James Webb ha puntato la sua strumentazione verso un esopianeta a dir poco impressionante: WASP-121b. Questo mondo si trova a circa 900 anni luce dalla Terra e orbita a distanza ravvicinata da una stella molto più calda e luminosa del nostro Sole, completando una rivoluzione in appena 30 ore. Una velocità che ha conseguenze devastanti: la gravità della stella lo deforma in una forma simile a quella di un pallone da rugby, e la sua superficie raggiunge temperature così elevate da poter far piovere ferro liquido.
Proprio grazie alla sensibilità del James Webb, in particolare dello strumento NIRSpec (Near Infrared Spectrograph), gli scienziati guidati da Thomas Evans-Soma dell’Università di New Castle in Australia hanno rilevato una combinazione chimica inedita nell’atmosfera del pianeta. Tra le molecole identificate spiccano vapore acqueo, monossido di carbonio, metano e, per la prima volta, monossido di silicio. Quest’ultimo composto, normalmente presente nei minerali solidi, suggerisce che frammenti di asteroidi ricchi di quarzo abbiano impattato contro il giovane pianeta, vaporizzandosi e fondendosi con i gas atmosferici.
Le osservazioni non si fermano a questa scoperta. Due studi, pubblicati il 2 giugno, raccontano anche la probabile origine e migrazione di WASP-121b. Secondo i ricercatori, questo gigante gassoso non si è formato nella sua attuale posizione, bensì in una regione molto più fredda e distante, simile a quella tra Giove e Urano nel nostro sistema solare. Lì avrebbe accumulato ghiacci ricchi di metano e composti pesanti, imprimendo nella sua atmosfera una firma chimica oggi ancora rilevabile.
Nel tempo, però, perturbazioni gravitazionali — forse causate da altri pianeti vicini — lo avrebbero spinto a migrare verso l’interno del sistema. Durante questo tragitto, avrebbe perso l'accesso ai ciottoli ghiacciati ricchi di ossigeno, continuando però ad assorbire gas contenenti carbonio. Questo squilibrio spiega perché la sua atmosfera oggi presenti un contenuto di carbonio nettamente superiore a quello dell’ossigeno.
A completare l’indagine, un secondo gruppo di scienziati guidato da Cyril Gapp del Max Planck Institute for Astronomy ha elaborato modelli tridimensionali dell’atmosfera del pianeta, tenendo conto delle enormi differenze di temperatura tra il lato sempre esposto alla stella e quello immerso nell’oscurità. Sorprendentemente, sul lato notturno — che resta comunque incandescente a 1.500 °C — è stata rilevata una quantità significativa di metano, un gas che normalmente si decompone a temperature così elevate.
Secondo Anjali Piette, astronoma all’Università di Birmingham e coautrice dello studio, questa scoperta indica che il metano proviene da strati più profondi e freddi del pianeta, spinto in superficie da intensi movimenti atmosferici. Un comportamento che mette alla prova gli attuali modelli dinamici degli esopianeti, spingendo gli scienziati a rivedere le teorie sulla circolazione atmosferica sotto condizioni estreme.