La maggior parte delle centrali nucleari oggi in funzione si basa su una tecnologia consolidata che utilizza i cosiddetti reattori termici. Questi impianti necessitano di un "moderatore", solitamente acqua, per rallentare i neutroni e sostenere la reazione di fissione nucleare. Esiste però un approccio alternativo, tecnologicamente più avanzato, che sta guadagnando terreno: quello dei reattori a neutroni veloci.
Invece di rallentare i neutroni, questa tecnologia li sfrutta alla loro massima velocità, eliminando la necessità di un moderatore. Per gestire le altissime temperature e trasferire il calore in modo più efficace, questi sistemi non usano acqua ma un refrigerante diverso, come il sodio liquido. È proprio su questo fronte che la Cina ha recentemente compiuto un passo da gigante, presentando il progetto del suo CFR-1000.
Sviluppato dalla China National Nuclear Corporation (CNNC), il CFR-1000 non è un piccolo prototipo sperimentale, ma un reattore su scala commerciale progettato per generare una potenza di 1,2 gigawatt, sufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico di circa un milione di abitazioni. Sebbene il progetto debba ancora ricevere l'approvazione normativa definitiva, con una possibile entrata in funzione prevista dopo il 2030, rappresenta un incredibile passo avanti nella strategia energetica a lungo termine di Pechino.
Questo piano, noto come la "strategia dei tre passi", prevede una transizione graduale dai reattori termici attuali, passando per i reattori veloci come il CFR-1000, per arrivare in un futuro più lontano ai reattori a fusione. La CNNC ha affermato con orgoglio di aver raggiunto la piena padronanza di tutte le tecnologie necessarie e di disporre di una filiera industriale completa, un primato a livello globale.
Il vero potenziale di questa tecnologia risiede nella sua straordinaria efficienza e sostenibilità, poiché i reattori a neutroni veloci sono in grado non solo di estrarre molta più energia dal combustibile nucleare rispetto ai reattori tradizionali, ma possono anche "produrre" nuovo combustibile.
Utilizzando come materiale fertile l'uranio-238 (U−238), un isotopo non fissile che costituisce la stragrande maggioranza dell'uranio naturale, possono trasmutarlo in plutonio-239 (Pu−239), che è invece un ottimo combustibile nucleare. Questo processo apre la strada a un ciclo del combustibile quasi chiuso, in cui le scorie nucleari vengono riciclate e riutilizzate, riducendo drasticamente il volume dei rifiuti a lungo termine e la dipendenza dall'estrazione di nuovo uranio.
Tuttavia, questo progresso tecnologico non è esente da ombre e preoccupazioni a livello internazionale, e di mezzo c'è come sempre il potenziale bellico. La capacità di produrre plutonio-239 solleva questioni legate alla non proliferazione, poiché lo stesso materiale può essere utilizzato per la costruzione di armi nucleari. Le forniture di uranio arricchito dalla Russia alla Cina hanno già acceso un campanello d'allarme tra alcuni legislatori statunitensi. D'altra parte, organizzazioni come il Gen IV International Forum, un'alleanza di ricerca e sviluppo di cui fanno parte anche Stati Uniti e Unione Europea, promuovono attivamente questa tecnologia come una soluzione più sicura e pulita per il futuro. La Cina non è sola in questa corsa: la Russia gestisce già il reattore a neutroni veloci BN-800 e anche gli Stati Uniti, dopo aver abbandonato i primi esperimenti decenni fa, stanno sviluppando nuovi progetti come il reattore Natrium da 345 MW dell'azienda TerraPower.