Le bambole reborn sono nate come un potente e avveniristico strumento terapeutico funzionale ad alleviare il dolore di chi ha sperimentato lutti perinatali o anche demenza senile e in generale fragilità psichiatriche e psicologiche. Oggi sono la prova che di sacro, ormai non c'è nemmeno più il ruolo genitoriale: si sono infatti trasformate in un business online oltre che in un fenomeno mediatico oggettivamente inquietante.
Salute mentale, Lillo: "Se chiedi aiuto non sei 'matto'"Di influencer italiane e anche no che condividono video in cui portano le loro bambole reborn al parco, o che fanno loro il bagnetto o che raccontano quanti capricci hanno fatto (sempre le bambole), i social sono pieni. Ebbene, non è più il momento di soprassedere con "rispetto", di lasciar correre, di capire e compatire: queste influencer sfruttano il dolore altrui per guadagnare sulla vendita delle bambole e ovviamente sull'engagement dei loro contenuti.
"quanti capricci che ha fatto oggi": così si monetizza il dolore altrui
Volendo analizzare il passaggio dallo spazio della terapia della bambola (doll therapy) alla loro commercializzazione, non si può fare a meno di notare che si è ribaltato il soggetto della cura: prima era la persona che doveva affrontare un lutto, l'ansia o la demenza, oggi è un oggetto inanimato con le sembianze di un neonato. Le bambole non sono più utilizzate in ambito terapeutico o almeno non solo, ma sono diventate protagoniste di video sinistri e contenuti di dubbio gusto che ne mostrano appunto la cura, l'accudimento e il quotidiano. Questo fenomeno ha creato un'industria vera e propria con tanto di influencer che ne reggono le fila proprio creando un mondo virtuale attorno a queste bambole. Un mondo virtuale e assolutamente folle che però attira milioni di visualizzazioni e interazioni.
La trasformazione delle reborn dolls da strumenti di cura a oggetti di intrattenimento e business ha sollevato dibattiti e critiche su diversi fronti. A cominciare dalle questioni etiche: c'è chi teme che questo possa banalizzare la sofferenza di chi le utilizza per scopi terapeutici o peggio, vista la natura delle patologie che vanno a curare, che tale abuso possa creare confusione tra realtà e finzione.
E proprio sul confine tra realtà e finzione si apre un secondo dibattito: la costruzione di mondi virtuali e interazioni simulate può confondere la realtà e la finzione, soprattutto per coloro che le utilizzano per affrontare problemi di salute mentale. In Brasile, ad esempio, si è discusso dell'introduzione di multe per chi occupa i Pronto Soccorso in cerca di assistenza medica per le bambole.
come ti calpesto la genitorialità fingendo che sia sacra
L'ultima ma forse la più delicata delle questioni: la mercificazione della maternità. L'ascesa delle reborn dolls sui social media e il loro utilizzo per performance online hanno portato alcuni a criticare una possibile mercificazione della maternità, con la maternità vista come una performance controllata e monetizzabile, piuttosto che un'esperienza umana complessa. E questo lo avevamo già visto rispetto al fenomeno dello sharenting, recentemente ritenuto anche penalmente perseguibile dal Tribunale di Milano.
Ma questa non è genitorialità tossica, anzi non è nemmeno genitorialità. Qui si finge la genitorialità, esaltandola in una forma estrema, de-responsabilizzata, regressiva perché non si sta allevando nessuno. Il bambino, la bambina, non cresce, non fa i capricci, non solleva problemi etici o educativi con i suoi comportamenti o le sue domande, non disturba, non ha problemi di salute, non impone ritmi di vita. Qui il bambino, la bambina, non c'è. La genitorialità, scudo sacro dietro cui si parano le infliuencer quando vengono criticate, non c'è: quello che c'è è una performance che scimmiotta e mortifica un ruolo una volta sacro, mostrandolo come un'azione liscia, rassicurante e soprattutto monetizzabile. È lo specchio distorto di un’epoca che finge affetto ma vende compulsione, che sostituisce la realtà con la messinscena, che trasforma la maternità – una delle esperienze umane più radicali – in una bambola da vestire.
Un tempo era "pazzia" portarsi appresso una bambola fingendo fosse viva
La premessa è che esistono ancora spazi in cui le bambole reborn mantengono il loro scopo nobile: lenire il dolore e offrire un conforto simbolico là dove la realtà si era fatta troppo aspra. Ma man mano che hanno preso a riempire i feed di Instagram, TikTok e YouTube, sono diventate protagoniste di video in cui vengono portate dal pediatra, nutrite col biberon, accudite come neonati eterni da madri che madri non sono.
In questa mutazione inquietante, la doll therapy è diventata un reality commerciale. Profilo emblematico è quello di @rebornbabygiulia, una tra le influencer italiane più seguite in questo ambito (su TikTok ha 300mila followers, su YouTube 350mila). Giulia non è un essere umano ovviamente, è una bambola. Eppure, la narrazione social le costruisce attorno un mondo perfettamente strutturato: visite mediche simulate, passeggiate, camerette accessoriate, scenette di vita quotidiana confezionate per massimizzare l’engagement.
"voglio il diritto di uscire con la bambola": possiamo davvero normalizzarlo?
Il contenuto emoziona, incuriosisce, turba e scatena risse nei commenti e questo, lo sappiamo, è una manna per gli algoritmi. Il risultato? Visualizzazioni, commenti, condivisioni e naturalmente: monetizzazione, in una parola. Altrove, la questione si è fatta più seria, per esempio in Brasile, dove il dibattito è diventato politico. Secondo quanto riportato dal New York Post, i legislatori hanno recentemente discusso la possibilità di introdurre sanzioni per chi cerca assistenza medica per le bambole reborn dopo che un video diventato virale mostra una donna portare una reborn in un ospedale.
L’episodio ha sollevato un’ondata di indignazione, spingendo alcuni parlamentari a proporre multe, nel tentativo di arginare quello che appare ormai come un cortocircuito tra finzione e realtà. Eppure, c’è chi difende queste pratiche. Berenice Maria, assistente infermieristica e collezionista di lunga data che possiede otto bambole reborn, afferma che offrono un reale conforto emotivo: “Adoro le reborn, nonostante l’odio che vediamo là fuori,” ha dichiarato. “Voglio il diritto di uscire con loro… andare al centro commerciale, andare al parco". Una normalizzazione, questa, che sfida il confine tra cura e surrogato, tra supporto psicologico e spettacolo collettivo.