Kabul si trova sull’orlo di una grave emergenza idrica. La capitale afghana rischia di essere la prima metropoli contemporanea a rimanere totalmente priva d’acqua. Negli ultimi dieci anni, il livello delle sue falde sotterranee è precipitato di oltre 30 metri, complice l’espansione disordinata della città e l’impatto crescente del riscaldamento globale.
Secondo un’analisi dell’organizzazione Mercy Crops, il quadro appare drammatico. Vari elementi si sono intrecciati aggravando la scarsità d’acqua, creando una combinazione di eventi che ha messo la città in estrema difficoltà. Nonostante l’arrivo di aiuti internazionali, gli impianti per la distribuzione e l’irrigazione sono rimasti obsoleti. L’amministrazione inefficiente delle risorse, l’espansione incontrollata e la trivellazione selvaggia di pozzi hanno ulteriormente peggiorato la situazione. Il cambiamento climatico, fenomeno che Kabul conosce da tempo con la sua cronica esposizione alla siccità, ha fatto il resto. Le tensioni con l’Iran per il controllo delle acque del fiume Helmand hanno reso ancora più evidente la necessità di interventi urgenti.
IL REPORTL’Afghanistan, secondo il Notre Dame Global Adaptation Index, è tra i sei paesi più esposti agli effetti climatici estremi, e al tempo stesso è tra i meno attrezzati per gestirli. La popolazione di Kabul, cresciuta vertiginosamente da circa un milione di abitanti nel 2001 a quasi sei milioni nel 2025, ha incrementato ulteriormente il fabbisogno idrico, ormai insostenibile. Mercy Crops lancia l’allarme: senza misure drastiche, Kabul rischia di esaurire completamente le proprie risorse idriche già entro il 2030.
L’orografia stessa dell’Afghanistan lo rende particolarmente vulnerabile ai periodi di siccità. Le minori precipitazioni hanno ridotto significativamente il volume delle acque derivanti dallo scioglimento dei ghiacciai montani, da cui Kabul trae gran parte della propria risorsa idrica. I ghiacciai dell’Hindu Kush, che alimentano le falde durante la primavera, stanno diminuendo drasticamente. Tra il 2014 e il 2020 si è registrata una contrazione del 20% delle nevicate. Gli inverni più brevi comportano meno neve e, di conseguenza, minori riserve d’acqua nelle stagioni successive. Tra ottobre 2023 e gennaio 2024 le precipitazioni hanno raggiunto appena il 45-60% della media stagionale tipica degli anni precedenti.
Questa scarsità si traduce in difficoltà tangibili: quasi il 40% delle famiglie non ha accesso ad acqua potabile, e le condizioni di vita nella capitale non sono molto diverse da quelle delle aree rurali più isolate.
A peggiorare il quadro, circa l’80% delle falde risulta contaminato da scarichi fognari, agenti chimici e alti livelli di arsenico e nitrati. Chi non può attingere ai pozzi è costretto a rivolgersi ai privati, che rivendono a caro prezzo l’acqua prelevata, trasformando un bene pubblico in un lucroso mercato nero. Questa emergenza non è solo ambientale, ma riflette anche gravi carenze nella gestione pubblica, nella pianificazione e negli interventi umanitari.
Il problema non riguarda solo Kabul. Secondo uno studio elaborato dal think tank americano Rand, anche altre grandi città mondiali stanno percorrendo un sentiero simile. Metropoli come Città del Capo, Melbourne, San Paolo, Las Vegas e New Orleans si trovano anch’esse a fronteggiare minacce sempre più serie per quanto riguarda le loro riserve idriche.