Nel suo libro Per il mio bene, Ema Stokholma – all’anagrafe Morwenn Moguerou – ha raccontato gli anni di abusi fisici e psicologici inflitti da sua madre. Ma non si è fermata al dolore: ha deciso di trasformarlo in qualcosa di bello. I proventi del libro li divide con il fratello, unico testimone e partecipe di quell’inferno. Una storia che è un pugno nello stomaco e una carezza al cuore, come le sue parole al Corriere: “Non sono mai giù di corda. Ho sofferto già abbastanza”.
Ema Stokholma e Francesca Michielin ai Diversity Media Award: "La nostra società è una convivenza di persone tutte diverse tra di loro"Ema Stokholma si racconta nel suo libro Per il mio bene
Un’infanzia segnata dalla violenza, un libro per uscirne viva
“Non sei mai al sicuro in nessun posto”, scrive Ema Stokholma in Per il mio bene, in cui ripercorre un’infanzia trascorsa tra botte, minacce e silenzi forzati, inflitti dalla madre. La donna che avrebbe dovuto proteggerla, a volte la incitava addirittura al suicidio. “Mi portò su un ponte e mi disse di buttarmi da sola, altrimenti lo avrebbe fatto lei”, ha raccontato la conduttrice, deejay e artista in un’intervista al Corriere della Sera.
Il libro – uscito per HarperCollins e vincitore del Premio Bancarella 2021 – non è solo un memoir, ma una testimonianza cruda e lucida, nata dal bisogno di mettere ordine nel passato. Non è vittimismo, è sopravvivenza: “Ho cambiato mille terapeuti, ma non ho mai smesso di lavorare su di me”.
Chi è Ema Stokholma: da Morwenn a voce della radio italiana
Ema Stokholma, all’anagrafe Morwenn Moguerou, è nata nel 1983 a Romans-sur-Isère, in Francia. Dopo un’infanzia segnata da violenze familiari, ha lasciato il suo Paese a 15 anni per trasferirsi a Roma e iniziare una nuova vita. Prima modella, poi deejay, infine conduttrice radiofonica e televisiva, oggi è uno dei volti (e delle voci) più amati di Radio 2, dove conduce programmi come Back2Back e Radio 2 Social Club. Ha lavorato in TV con Filippo Bisciglia, Carlo Verdone, Andrea Delogu, e ha partecipato a Ballando con le Stelle.
Il gesto che commuove: “È la mia storia, ma anche quella di mio fratello Gwendal”
Nel libro, accanto alla figura terrificante della madre, emerge quella tenera e silenziosa del fratello Gwendal. Anche lui vittima delle stesse violenze. Anche lui testimone dell’orrore. “Senza il suo consenso non lo avrei mai pubblicato. I capitoli glieli mandavo uno alla volta”, ha spiegato Ema.
Non solo: i proventi del libro vengono divisi equamente con lui. Un gesto non scontato, carico di significato. “È la mia storia, ma anche la sua”, dice Ema. In un mondo dove è più facile dimenticare, lei ha scelto di ricordare e restituire. Di costruire qualcosa di buono dalle macerie. Di fare della parola una cura e della memoria un’eredità condivisa.
Chi è Gwendal, il fratello che ha condiviso l’inferno
Gwendal è il fratello maggiore di Ema Stokholma. Ha vissuto accanto a lei gli anni più duri dell’infanzia, sotto lo stesso tetto e sotto le stesse minacce. È stato l’unico testimone diretto delle violenze domestiche subite da Ema, e il loro legame si è fortificato con il tempo. “La prima volta che ho sentito di essere capita è stata quando ne ho parlato con lui”, ha raccontato. Anche se si vedono solo qualche volta l’anno, il loro legame è rimasto fortissimo.
Quella volta che la madre la persuase a tentare il suicidio
Il libraio che le salvò la vita e quella vetrina ancora lì
A 9 anni, sua madre le disse di buttarsi nel fiume. Lei scappò, confusa, spaventata, e si rifugiò nella libreria del quartiere. Fu il libraio Stéphane a salvarla, senza neanche saperlo. “Non l’ho più rivisto. Due anni fa sono tornata, il negozio c’era ancora, con lo stesso poster”, ha raccontato Ema al Corriere. Una scena da romanzo, eppure vera.
Davanti a quella libreria c’era anche un marciapiede con le sue iniziali e quelle del fratello incise nel cemento. Non esiste più, è stato rifatto. Ma un amico le ha regalato un tappeto che le riproduce. “È stato uno dei pochi gesti edificanti di mia madre. Plateale, ma dimostrava che almeno per un attimo esistevo ai suoi occhi”.
Un padre che spariva e un presente fatto di traslochi
Il dolore non veniva solo dalla madre. Anche il padre di Ema era un fantasma: “Mi diceva ‘ci vediamo lunedì’ e poi ricompariva dopo quattro anni”. Quando a 15 anni è scappata in Italia per cercarlo, si è ritrovata sola anche lì. E allora ha fatto da sé: modella, deejay, speaker, artista. “Sono a quota 40 traslochi, ma nemmeno questa è la casa definitiva. La mia natura è spostarmi”, dice. Come se fosse sempre in fuga, ma finalmente libera di scegliere dove andare.
L’arte, l’amicizia, e una nuova famiglia stile Friends
Oggi Ema è una donna che lavora e fa cose bellissime. I suoi quadri si vendono anche a 5.000 euro, grazie a un sistema costruito in autonomia, con l’aiuto di Gino Castaldo, che le ha detto: “Fallo da sola, come un cantante indie”. Con quei soldi organizza cene con gli amici che le tengono le tele prima della vendita.
Ha una cerchia affiatata: Andrea Delogu, che definisce “la boss”, Luca Barbarossa, una figura “importante”, Mirko Nazzaro, che l’ha portata a scoprire Marina Abramović. “Mi ha invitata a Capri dopo che l’avevo intervistata. Era un sogno, non potevo crederci”.
E i figli?
Sognava una famiglia stile Friends e l’ha trovata. Non ha mai desiderato figli – “non sono cresciuta col mito della famiglia del Mulino Bianco” – ma è diventata una figura presente per le figlie del suo ex compagno. “Spero che sappiano di poter sempre contare su di me”.
La vera libertà è raccontare la propria storia, e condividerla
“Io non sono mai giù di corda. Magari mi arrabbio, ma mi passa dopo dieci minuti”, dice Ema. Una frase che racchiude la sua forza disarmante. Toglie i tatuaggi “perché ho sofferto già abbastanza”. Scrive poesie dopo le sedute in analisi. Ha superato il dolore, non dimenticandolo, ma trasformandolo.