Forse non tutti sanno che nel 2023, a quasi 600 milioni di chilometri dalla Terra, nel cuore del sistema solare esterno, uno strumento prezioso stava morendo. L'agenzia spaziale ha voluto condividere i dettagli di questa incredibile sequenza di fatti, che per fortuna si sono risolti nel migliore dei modi.
La JunoCam, la fotocamera a bordo della sonda Juno della NASA, aveva iniziato a inviare immagini sempre più disturbate, piene di linee orizzontali e "rumore" digitale. Un degrado progressivo e inesorabile, che minacciava di accecare la sonda proprio quando si preparava a uno degli incontri più attesi della sua missione: un passaggio ravvicinato sulla luna vulcanica di Giove, Io. Per il team della missione, la situazione era critica. Le immagini, un tempo nitide e spettacolari, erano diventate quasi inutilizzabili a partire dall'orbita numero 56, e il tempo stringeva.
La causa del problema era ben nota: le radiazioni. L'orbita di Juno la porta ad attraversare i campi radiattivi più intensi del nostro sistema solare. La JunoCam, a differenza di molti altri strumenti, si trova all'esterno del "caveau" di titanio che protegge l'elettronica più sensibile della sonda, una scelta progettuale che la rendeva estremamente vulnerabile. Sebbene avesse superato ogni aspettativa, sopravvivendo ben oltre le prime otto orbite previste, il danno accumulato stava finalmente presentando il conto. I sospetti si concentravano su un regolatore di tensione fondamentale per l'alimentazione della fotocamera. Ma come riparare un componente microscopico da una distanza così siderale?
Con poche opzioni sul tavolo e l'avvicinamento a Io previsto per il 30 dicembre 2023, il team ha deciso di tentare una mossa quasi disperata, una sorta di "preghiera" tecnologica. La tecnica scelta è nota come annealing, o ricottura. In sostanza, l'idea era di "cuocere" la fotocamera, riscaldandola per un certo periodo per poi lasciarla raffreddare lentamente.
In teoria, il calore può riorganizzare la struttura microscopica del silicio e "guarire" alcuni dei difetti indotti dalle radiazioni. "Sapevamo che a volte la ricottura può alterare un materiale come il silicio a livello microscopico, ma non sapevamo se questo avrebbe risolto il danno", ha spiegato Jacob Schaffner, ingegnere di Malin Space Science Systems, che ha sviluppato lo strumento. Un primo tentativo, portando la temperatura a circa 25 gradi Celsius, aveva funzionato temporaneamente, ma il problema si era ripresentato più aggressivo di prima.
Con l'incontro imminente, si è passati al piano B: spingere il riscaldatore della fotocamera al massimo. Per la prima settimana, le immagini di test non mostrarono alcun miglioramento. Poi, a pochi giorni dal sorvolo, quasi miracolosamente, la qualità ha iniziato a migliorare drasticamente. Quando Juno è sfrecciata a soli 1.500 chilometri dalla superficie di Io, la JunoCam era tornata quasi come nuova.
Le immagini catturate sono state spettacolari, svelando con dettagli senza precedenti la regione polare nord della luna, con i suoi blocchi montuosi coperti di brina di diossido di zolfo e campi di lava vulcanica mai visti prima.