La protesta "della maturità": tra performance individuale e contestazione di un sistema (però dopo, quando è comodo)

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(La redazione di fem) Jul 15, 2025 · 3 mins read
La protesta
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Negli ultimi giorni almeno cinque giovani - tre in Veneto, una in Toscana e una nelle Marche - hanno scelto di non sostenere l’esame orale di maturità. Questo nonostante - o forse proprio grazie a - i crediti accumulati e ai risultati scritti. Infatti hanno ottenuto lo stesso il diploma. 

Come riporta Repubblica, una delle studentesse - diplomata alla Scuola del Libro di Urbino - giudica "vergognose" le dichiarazioni del Ministro all'Istruzione Valditara, che aveva detto: “Bocciateli”. “In parte mi spaventano, davvero è più importante punire il dissenso degli studenti che ascoltare le loro esigenze? Volete dei burattini o delle persone pensanti?", ha detto la ragazza.

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le "esigenze degli studenti" che sopraggiungono quando si smette di essere studenti

La prima domanda che viene da porsi è quanto senso abbia contestare un sistema dopo che si è tratto vantaggio dal sistema stesso. Questi studenti e queste studentesse hanno completato e pure con successo un percorso scolastico dentro a un contenitore che dicono di aborrire, ma lo dicono oggi, dopo che grazie al funzionamento del sistema e grazie al fatto che hanno rispettato le sue regole, sono liberi, libere, di sollevare polveroni e sottrarsi all'esame orale. 

Ma i ragazzi e le ragazze hanno giocato per cinque anni di fila secondo quelle regole che ora rifiutano: hanno studiato sottomettendosi al sistema del voto, ottenuto crediti, superato gli scritti, puntato su quei voti e su quei crediti per non sostenere una conversazione finale che è forse il primo vero spazio di confronto adulto che studenti e studentesse hanno nella loro carriera scolastica. L'esame orale è ansiogeno, fastidioso, stressante ma è anche un momento in cui si può dare prova di quella umanità e profondità di cui contestatori e contestatrici dicono di essere stati privati, private.

La strategia di ridursi a somma di numeri per fregare un sistema che riduce le persone a una somma di numeri 

E infatti, all’ultimo momento, hanno usato il loro diritto di rifiutare l’orale, consumando una “ritirata strategica”. È quasi un paradosso: condannare l’esame orale, ma sfruttarne i meccanismi per ottenere comunque il voto. Una provocazione lucida, che però, precisamente, chi frega? Non la scuola. 

Le loro motivazioni sono articolate e, in certi tratti, condivisibili: denunciano un sistema scolastico percepito come oppressivo, performativo, antiquato, lontano dalle esigenze di crescita personale e collettiva. Contestano l’ipocrisia dell’orale, che per molti si riduce a una formalità rituale e il modello valutativo che — a loro dire — premia la conformità più che la curiosità. Vogliono scuotere l’istituzione, gridare che l’educazione dovrebbe essere qualcosa di vivo, non una corsa ad ostacoli.

Ma c’è una contraddizione difficile da ignorare: protestare alla fine, sottraendosi all’ultimo atto di un percorso accettato fino a quel momento, è un gesto che rischia di perdere forza.

nell'epoca dell'Io, le lotte studentesche sono ridotte a performance individuali

È un po’ come giocare una partita intera, secondo regole che si dicono sbagliate, per poi rifiutarsi di tirare il rigore finale. Una ribellione che si consuma nel momento in cui si esce dalla scena — quando il peso della scelta non ricade più sul "noi", ma solo sull’"io". È giusto criticare il sistema, anzi, è necessario. Il sistema scolastico italiano ha delle criticità strutturali gravissime: disuguaglianze territoriali che penalizzano il Sud e le aree interne, una formazione professionale debole e spesso stigmatizzata, classismo latente che orienta i percorsi secondo l’origine sociale, scarsa attenzione al benessere psicologico, carenza di spazi di partecipazione per studenti e studentesse, discriminazioni di genere, abiliste e razziali ancora presenti nei corridoi e nei programmi.

Tutti problemi che generazioni di studenti hanno denunciato lottando dall’interno, occupando scuole, promuovendo assemblee, facendo pressione politica, mettendo il proprio corpo e la propria voce al servizio di una battaglia collettiva. Perché la scuola, nonostante tutto, può ancora essere un luogo di trasformazione reale, se si ha il coraggio di viverla, cambiarla e — quando serve — contestarla apertamente. Protestare quando si è già fuori, quando la scuola non può più rispondere è una scelta individuale ed è rispettabile, ovvio, ma è complice di quel disinteresse per la collettività che dice di voler contrastare.