La RELIGIONE dello Smartphone - Star Wars e Plotino - Nè "noi" né "io" (Q&A)

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Rick DuFer Jun 16, 2025 · 19 mins read
La RELIGIONE dello Smartphone - Star Wars e Plotino - Nè
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Attenzione: la trascrizione è in parte gestita da IA e, per esigenze di adattamento, potrebbe non corrispondere completamente alla puntata relativa.
Dalla puntata del 13 giugno 2025.

In questo scambio di domande e risposte oggi affronteremo temi fondamentali come il rapporto tra lettura e meditazione, il fascino del digitale e il suo ruolo come “nuova religione”, il significato del dialogo con sè stessi e il ruolo di “io” e “noi” nello stare al mondo.

Tra riflessioni filosofiche, riferimenti culturali e stimoli pratici come sempre ci attende una sessione di domande impegnative e risposte che spero possano fornivi qualche spunto interessante su cui riflettere!

Punti Chiave del Post di oggi:

1. La lettura come meditazione

  • La lettura avvicina alla meditazione poiché favorisce l’ascolto della propria voce interiore.

  • A differenza dell’audiolibro, la voce che leggiamo è la nostra, e questo rafforza la coscienza di sé.

  • L’obiettivo è alimentare la propria autonomia critica e arricchire il proprio humus mentale con un pensiero profondo.

2. La metastasi del sacro nel digitale

  • La tecnologia e i social media sono diventati nuovi oracoli, affidiamo a algoritmi e strumenti una parte della nostra fede.

  • La sfida è usare questi strumenti come mezzi, non come scopi, per evitare di costruire una nuova “religione” digitale.

3. La selezione e la fatica della conoscenza

  • Per ottenere chiarezza e ridurre il rumore del caos quotidiano bisogna selezionare con cura gli stimoli culturali a cui ci affidiamo, privilegiando libri e conoscenza duratura.

  • La cultura antica e i classici sono strumenti essenziali per riconoscere ciò che ha valore nel tempo.

  • La nostra società ha disabituato all’approfondimento: la fatica di leggere e approfondire è fondamentale per costruire un pensiero autonomo.

4. La distinzione tra consapevolezza reale e artefatta

  • Ogni nostra “consapevolezza” è prodotta, una mappa costruita dal nostro cervello e dall’interazione col mondo.

  • La filosofia serve a riconoscere quali mappe sono utili per avvicinarsi alla realtà, attraverso il confronto e il dialogo con gli altri.

6. La ricerca di un “equilibrio” tra “io” e “noi”

  • La vera conoscenza si basa sulle relazioni: “l’io” esiste in relazione all’”io” degli altri.

  • La filosofia individualista sana si fonda sul dono e sull’apertura verso gli altri, non sull’isolamento o sull’appartenenza cieca.

  • Il “noi” non è solo appartenenza, ma capacità di offrire quello che abbiamo agli altri.

IL DAILY COGITO DI OGGI:

E rieccoci qua con un bel momento di Q&A, domande e risposte. Voi le domande me le avete fatte, io le risposte le troverò… ? Scopriamolo, come sempre, dopo il sondaggio del giorno!

Bene signore e signori: veniamo a noi e iniziamo con la prima domanda di Stefano, che chiede:

“In un recente video hai paragonato la lettura alla meditazione. Si può quindi considerare la lettura alla stregua dello stare da soli con se stessi? ”.

La lettura per me è un comportamento che si avvicina allo stare da solo con me stesso. Ovviamente non è un momento di raccoglimento, come lo può essere appunto la meditazione, oppure un momento di solitudine e riflessione perché comunque è un contenuto di cui stai fruendo: parole, frasi (che siano poi poesie, saggi, storie).

Ma la lettura ha una caratteristica secondo me fondamentale: la voce che ti parla quando leggi è la tua. Il libro, a differenza dell’audiolibro, del podcast, del film, segue i tuoi ritmi e ti dà familiarità con la tua voce interiore e questo è un punto essenziale, perché quella voce è la stessa che poi emerge quando pensi e rifletti sulle cose, è la voce della tua coscienza, letteralmente! Quindi la lettura è un metodo straordinario per far emergere quella voce e familiarizzare con quella voce. Trovo che sia importantissimo come elemento e spesso invece non si riflette su questo punto. Quindi sì, la lettura non è esattamente meditazione, ma è la forma di esperienza culturale più vicina alla meditazione.

Poi c’è Tony che chiede:

“Nel tuo ultimo “banchetto concettuale” intitolato ‘Dio era morto tu sezioni con maestria il cadavere del divino solo per mostrare che nel profondo l’uomo moderno ne ha già imbalsamato le sembianze sotto nuove spoglie. Quando vediamo masse inginocchiarsi davanti a uno smartphone, affidarsi a oracoli algoritmici, santificare la scienza o l’attivismo come fossero culti, non stiamo forse assistendo alla metastasi del sacro? E tu, Rick, che ti definisci diversamente ateo, riesci a guardare negli occhi il nuovo Dio senza volto e a non inchinarti neanche per un istante?”

Questo in realtà non lo dico io, ma lo diceva già Neil Gaiman in American Gods: Le tecnologie, gli algoritmi, i nuovi strumenti digitali sono già utilizzati da molte persone proprio come degli oracoli, nel senso che affidiamo a questi strumenti il ruolo di sacralità che prima era dato ad altre entità, spesso metafisiche. Credo che sia un processo in divenire, quindi non c’è già ancora la religione dell’algoritmo, ma l’approccio all’algoritmo spesso è di stampo religioso.

Questo credo sia legato proprio a quello che dici tu, cioè al fatto che comunque c’è una metastasi della sacralità. Io nel libro la cito questa cosa quando parlo dei guru e quando parlo anche del nostro rapporto con i social media: noi affidiamo a questi strumenti una parte del nostro animo legata proprio alla fede.

Per concludere l’ultima parte della tua domanda, se io riesco a sottrarmi a questo gioco: io ci provo, sono consapevole; credo che sottrarsi al gioco del digitale sacro significhi guardare a questo mondo come a uno strumento. Quindi che sia l’intelligenza artificiale, uno smartphone o un social media, se io riesco a vedere quella cosa come strumento e non come lo scopo della mia azione, allora forse riesco a guardarlo con occhio critico, che significa utilizzarlo nei giusti contesti.

Se invece credo che questi che non siano più strumenti ma scopi del mio agire, allora sto costruendo una religione, impoverendo enormemente la mia stessa vita.

Il discorso è molto complesso, però credo di riuscire a gestire bene la mia vita, ovviamente poi con tutti i limiti che hanno a che fare con l’essere immersi in questo mondo. Magari poi questo lo approfondiamo in un futuro Daily Cogito. Grazie per la domanda.

Poi c’è Gianfranco che chiede:

“Sono un fan di Star Wars, un fan rivolto più alla prima trilogia, che ritiene l’episodio 5 sia la Bibbia (per quanto mi riguarda) di come intendo il concetto di Dio: quando il maestro Yoda spiega, sul Sistema Dagobah, a Luke che cosa sia la Forza (bellissimo: è la scena in cui Luke non riesce a tirare fuori l’astronave dal lago Yoda fa quel discorso in cui dice: ‘Tu devi vedere la Forza in tutto, non soltanto negli oggetti, ma anche fra gli oggetti’).

In breve, quale filosofo, quale concetto filosofico esprime tutta quella bellezza e pelle d’oca che ogni volta mi coinvolge quando guardo quel film? Plotino? Neo-platonismo? Ti ringrazio sempre.”.

Sì Gianfranco, il primo nome che mi viene in mente quando penso a quella scena è proprio quello di Plotino. Il concetto di Forza è molto simile al concetto di Uno, cioè l’unità, ciò che tiene unite le cose, anche laddove ci sembra che quell’uno sia invisibile, anzi sia completamente assente. Ci sono tanti libri che ti parlano di queste cose, quindi in realtà puoi trovare tanti filosofi che hanno parlato di Star Wars: anche Slavoj Žižek parla di Star Wars parla in alcuni suoi libri di Star Wars; per esempio, nel libro In difesa delle cause perse c’è un piccolo capitoletto dedicato a Star Wars. Ma poi insomma è un film che è stato sviscerato da tanti libri e tanti autori.

Plotino quindi è sicuramente il primo: leggiti le Enneadi, ti farà sicuramente venire la pelle d’oca.

Ovviamente però c’è anche una filosofia molto panteista: alcuni interpreti dicono che i Jedi, i cavalieri Jedi, sono dei panteisti, quindi che vedono Dio in ogni cosa, in un modo diverso rispetto a Plotino, e in questo senso uno dei filosofi che possiamo tranquillamente citare è Spinoza. Lo spinozismo è abbastanza presente nella filosofia dei cavalieri Jedi ed è sicuramente un approfondimento interessante.

Dopodiché è un racconto di fantascienza, il che significa che i concetti filosofici vengono presi a maglie molto larghe e, come ogni storia simbolica, possiamo vederci tutto e il contrario di tutto. Perciò insomma, prendiamo con le pinze, ma sicuramente questi sono due filosofi che possiamo trovare in queste storie.

Peraltro io amo la trilogia iniziale, però sono affezionato anche alla seconda trilogia, la terza secondo me manco esiste.

Andiamo a Manifoldronin che chiede:

“Che media usi per informarti sull’attualità? Qual è la tua routine a riguardo e come avviene eventualmente il processo di approfondimento con il quale oltrepassi la barriera epistemica della stampa e del giornalismo per formarti un’opinione più o meno solida, ma che sia la tua? In che modo decidi quando farlo e quando no?

Il mio metodo è molto, in realtà, basilare: io sono iscritto a svariate newsletter di quotidiani e media informativi di cui ho grande stima. Una delle newsletter che leggo con maggiore attenzione è quella dellEconomist; sono abbonato anche al Financial Times e mi leggo con attenzione le loro newsletter.

Dopodiché ho anche alcune newsletter minori, come quella dell’MIT Technology Review, che riesce a dare un ottimo sguardo sul mondo tecnologico, scientifico e via dicendo.

Perciò ho tante newsletter e il metodo per farmi la mia opinione però non ha a che fare con le notizie, ha a che fare con i libri: è importante informarsi, quindi capire cosa sta succedendo, ma la cosa veramente importante è costruirsi una consapevolezza nel tempo che mi permetta, in primo luogo, di riconoscere quando una notizia è solida, ben legata alla realtà e ben legata alle altre fonti, e in secondo luogo, come queste notizie si vanno a legare a quelli che sono i miei interessi e le mie idee.

Per fare questo serve un lavoro molto precedente e direi sullo sfondo, rispetto al semplice atto di informarsi: io oggi mi informo non soltanto perché leggo le notizie, ma perché tutto quello che leggo si va a collocare su un humus intellettuale, filosofico, direi anche spirituale, che mi sono formato negli anni grazie ai libri che leggo.

Il problema è che noi abbiamo slegato queste due cose: pensiamo che informarsi sulla realtà sia cosa diversa rispetto a formarsi una propria cultura! M

Ma senza una propria cultura (che ci si forma lentamente, pazientemente, leggendo tanto, sia saggi sia romanzi) quindi senza preparare questa autonomia intellettuale, che è legata insieme dalla rete di libri che uno ha letto nella sua vita, le notizie diventano rumore.

Quindi io ho l’iscrizione a tante newsletter, alcune le ho citate, ma mi sarebbero completamente inutili, addirittura dannose, se non avessi formato una mia autonomia intellettuale negli anni grazie a queste cose che vedete alle spalle (i libri). Quindi questo è il mio metodo e la mia routine poi è quella che io ogni mattina, quando mi sveglio, mentre bevo il caffè, mi faccio la lettura delle mie newsletter e faccio il confronto tra le notizie. Ma questo ha significato per tutto quello che sta alle spalle dell’informazione.

Poi c’è il corallo, che dice:

“Da un po’ di tempo mi ritrovo a ricercare occasioni di dibattito e approfondimento che tendenzialmente mettono in discussione le mie idee, provando in un primo momento un leggero disagio che alla fine però si concretizza nella gioia di aver acquisito nuovi dati e aver capito che il mio pensiero era probabilmente errato o minato da pregiudizio e ignoranza, anche se a volte provo difficoltà a mantenere alto e costante il livello di attenzione. Non trovo risposta quando mi chiedo perché tanta gente non abbia la minima intenzione di colloquiare o ascoltare qualcuno che la pensi in modo diverso da loro, anzi lo trovo estremamente dannoso, tu che ne pensi?”

L’incapacità di nutrire propensione al dibattito è legata al fatto che noi non siamo più interessati ad accrescere la nostra visione del mondo: siamo abituati, da un mondo social che ha distorto il nostro sguardo, a veder sempre confermata l’idea che abbiamo del mondo, per quanto pregiudiziale, per quanto ottusa, per quanto poco approfondita, per quanto superficiale.

Noi vogliamo semplicemente che le cose ci confermino quello che già pensiamo.

La filosofia serve a questo: la filosofia, io lo dico molto spesso, è un tram sui denti, perché è l’allenamento a fare pace con questa evidenza, cioè che tu non sai mai veramente nulla delle cose che contano.

Lì fuori è sempre più presente invece il contrario, cioè ciò che è importante è quello che conferma la mia opinione: quindi se trovo qualcuno che non solo non la conferma ma la contrasta, quello è subito un nemico, è qualcosa di indesiderabile.

Non ho una risposta a questo, se non quello di continuare a fare questo lavoro faticoso di diffusione del valore dell’ignoranza: fondamentale partire dall’idea che quello che io penso sul mondo sia sbagliato, fallace, insufficiente. Ma capisci bene che per fare questo ci vuole un lavoro anche qua, direi spirituale prima che culturale, che abbiamo disabituato noi stessi a compiere: la scuola ci ha disabituati, il sistema informativo ci ha disabituati, Internet ci ha disabituati a questo.

Quindi tu continua così: seleziona le persone che hanno la tua stessa capacità, il tuo stesso coraggio, però bisogna far pace col fatto che siamo in una battaglia di retroguardia e quindi un po’ amara come considerazione, ma non credo che questo stato di cose cambierà nei prossimi anni. Forse cambierà sul lungo periodo dopo che avremo preso dei tram sui denti veramente pesanti, però per adesso va così.

Cerchiamo di creare buoni contesti: questo è quello che mi sono dato come missione nel mio lavoro.

Poi c’è Lorenzo (studente della Cogito Academy), che dice:

“Il cut off del rumore di fondo, cioè la riduzione del rumore di fondo, è possibile, così come la possibilità di non trovarsi impantanati nel paradosso della scelta, grazie a un metodo il quale non ha ancora raggiunto una propria forma? riconoscere nella musica o in chi e cosa seguire e cosa e perché, specie nel caso va in chat con intelligenze artificiali, ho ottenuto certe risposte. Il punto che sembra non congiunto è il come. Come tutto ciò si possa fare allora?”.

Lorenzo, sì, la riduzione del rumore di fondo si può fare.

È legato a quello che dicevo prima nella domanda su come mi informo: noi entriamo in contatto ogni giorno con elementi culturali, musica, podcast, storie, libri, discorsi, video e, poiché questo è un’enorme quantità di stimoli, dobbiamo allenare anche la nostra capacità di selezionare ciò che davvero ti interessa, ciò che ha valore.

Questo io nel tempo l’ho fatto proprio grazie ai libri: i libri sono lo strumento essenziale che, insieme alla mia esperienza concreta del mondo, mi ha permesso di affinare i miei strumenti di selezione. Quindi oggi noi facciamo fatica a creare quella riduzione del rumore, perché abbiamo smesso di leggere, abbiamo smesso di approfondire le cose antiche, che sono proprio quelle che ci danno gli strumenti per poi tagliuzzare il rumore contemporaneo.

Abbiamo cioè smesso di chiederci: Ma cos’è che mi interessa veramente? Cos’è che ha valore per me?”

Quello che ha valore per me lo riconosco perché ho fatto un lungo lavoro di selezione e di apprendimento di cose che nel tempo hanno resistito. Questi qua che sono alle mie spalle, che sono libri per lo più antichi, non sono rumore!

Sapete perché?

Perché il rumore nel tempo sparisce, ciò che invece ha valore resiste.

Quindi leggere i libri antichi classici mi permette di affinare la capacità di riconoscere ciò che è di valore nel rumore, anche ovviamente capendo meglio quello che voglio io. È un lavoro di fatica, molto lungo, ma che bisogna cominciare a fare il più presto possibile.

Anche Daniele Stefano Milillo è uno studente Academy e chiede:

“Su tantissimi temi trattati nell’Academy, mi sono soffermato negli ultimi mesi sulla realtà: la nostra realtà e le proiezioni che ci siamo creati dalla stessa durante la crescita. Mi ritorna in mente l’idea della consapevolezza che ci creiamo. C’è differenza fra le consapevolezze reali e le consapevolezze che ci creiamo?”.

Allora, domanda anche qua che meriterebbe ore di approfondimento: la risposta è no, cioè ogni nostra consapevolezza è creata, o meglio prodotta, perché creata significa che lo faccio con intenzione, in realtà è prodotta dall’interscambio con il mondo.

Io devo riconoscere queste consapevolezze che sono tutte artefatte, non fosse altro che sono create dal mio cervello, quindi non sono la realtà, non esiste una consapevolezza reale, perché ogni consapevolezza è una mappa.

Il punto non è distinguere fra consapevolezze reali e consapevolezze prodotte, il punto è: quali consapevolezze prodotte mi aiutano a riconoscere la realtà? E quali invece mi allontano dalla realtà? In questo senso Kant ha dato la lezione migliore: la filosofia non serve per togliere le mappe e le maschere, serve per riconoscere quali mappe e quali maschere sono migliori rispetto alle altre.

E questo come si fa?

Con il confronto con gli altri: gli altri sono una realtà esistente ineluttabile; allora confrontare le mie mappe con quelle degli altri mi permette di capire quale mappa mi aiuta ad avere un riscontro con la realtà e quale mappa invece mi allontana dalla realtà perché è superstizione, è una supercazzola, è una cosa sbagliata. Quindi è il confronto con gli altri che mi permette proprio di arrivare a capire meglio come sono fatte le mie mappe e quali devo nutrire e quali invece togliere di mezzo.

Infine, ultima domanda di Cuseikos che dice:

“Anni fa un noto politico italiano che passò come una meteora nel palcoscenico della vecchia sinistra, disse nel pubblicare un suo libro: ‘Abbiamo passato un secolo a parlare dell’”io”. È giunto il momento di porre l’attenzione sul “noi”’.

Mi pare che, inconsapevolmente, il personaggio in questione stava presagendo i vent’anni successivi in cui viviamo ora, anni in cui il “noi”, un “noi” acritico irrazionale, pericolosamente empatico quanto ipocrita, pare voler prevalere sull’”io”. Non è forse giunto il momento di dire:

‘Abbiamo speso vent’anni a parlare a vanvera di “noi”, adesso è giunto il momento di pensare all’”io” per riaggiustarlo, guarirlo dal male di vivere in un mondo che si scopre non essere a misura di smartphone e ci tira remi in testa proprio mentre facciamo finta di essere un’identità di gruppo e non sappiamo invece chi siamo davvero: forse è il caso di tornare a curare noi stessi e dare un senso alla nostra presenza nel mondo.’”

Allora qui sfondi una porta aperta.

A questo tema io ci ho anche dedicato svariate parti dei miei libri: in Seneca tra gli zombie ho parlato del supermercato dell’identità in cui il “noi” diventa quel senso di appartenenza che mi deresponsabilizza e mi esenta dalla mia ricerca interiore

Vorrei però fare un passo in più e dirti che quella frase che tu citi: “adesso è giunto il momento di pensare all’io’ è comunque problematica perché tanto il “noi” quanto l’”io” sono dei concetti che trovano valore nel modo in cui li collochiamo nel mondo.

Cioè, se tu mi dici: ‘Il “noi” è ciò che dà identità e ciò che mi dà appartenenza’, io ti dico: ‘Quel “noi” lo stai usando male, come l’ha fatto la politica che tu citi’. Ma allo stesso modo, se tu mi dici: ‘“L’io” è ciò che importa e mi lego all’io per trovare la mia identità’, rischi la stessa cosa perché anche il concetto di io può far male quando usato male. Non sono i concetti in sé per sé, ma il modo con cui li collochiamo nel mondo e la relazione che diamo a queste cose.

Io, che sono un grande fautore di una filosofia individualista nel modo sano del termine, sono convinto che l’”io” esista e abbia valore in relazione al “noi”: attenzione, non il “noi” inteso come gruppo sociale che ci dà identità, ma il “noi” come capacità di offrire quello che ho io.

L’”io” non è un’ecceità che si slega dalle altre e guardando dentro se stesso capisce chi è: io devo usare gli altri per capire chi sono, gli strumenti che mi danno gli altri, e devo offrire quello che ho io; quello che io possiedo come talento, capacità, tempo, ascolto io lo devo offrire, donare agli altri e in quello c’è un “noi”.

Attenzione, non è un “noi” che mi dà appartenenza, ma è un “noi” a cui io do realtà e corpo, perché noi siamo creature che hanno bisogno degli altri e l’”io” inteso come “io ho qualcosa di mio” rischia di essere dannoso tanto quanto quel “noi abbiamo qualcosa di irripetibile e fondamentale”. È lo stesso problema.

Mi viene in mente quella citazione di Deleuze quando scrisse:

‘Poiché ciascuno di noi era parecchi, si trattava già di molta gente’.

Abbiamo speso vent’anni a parlare di io e noi, cominciamo a parlare di relazioni, connessioni che è ciò che abbiamo perso tanto nel “noi” quanto nell’”io”: fra “noi” e “io” preferisco le relazioni; e con questo direi che è tutto.

Signore e signori, io vi ringrazio per queste interessantissime e complicatissime domande. Come sempre spero di aver messo qualche ragionamento utile. Vi mando un grande abbraccio e noi ci rivediamo con i prossimi Daily Cogito.

Un abbraccio e a molto presto.