Luce, ombra e dipendenza: anatomia di un’amicizia che diventa tossica

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(La redazione di fem) Jul 15, 2025 · 8 mins read
Luce, ombra e dipendenza: anatomia di un’amicizia che diventa tossica
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Di questo tema hanno parlato spesso anche molte altre testate femminili. Hanno raccontato relazioni disfunzionali, rapporti sbilanciati, e l'ombra che può nascondersi dietro legami che sembrano forti. Ma oggi vi voglio parlare di tradimenti più sottili. 

Ci sono legami che iniziano come salvezza e finiscono per assomigliare a catene gentili. Amicizie che sembrano sorellanze, ma diventano dipendenze. Questa è la storia di una luce che ho inseguito troppo a lungo, finché non mi sono accorta che mi stava consumando. C’entrano le carte, l’intuito, la crescita spirituale. Ma soprattutto, c’entra il momento in cui ho deciso che per brillare davvero, dovevo smettere di rincorrere. 

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Racconto 

"Dividi il mazzo" – mi ha detto Irene mentre la osservavo mischiare velocemente i tarocchi di Waite, interrompendo un attimo in cui la mia mente si era sedata, ipnotizzata da quel gesto ripetuto. 

"Pescane sette. Concentrati sulla domanda, eh!" – ha aggiunto, con un pizzico di rimprovero, dolce come una madre e una maestra insieme. 

Sì, perché Irene per me è stata la luce in un momento molto buio. In quel periodo soglia, in cui ho deciso di chiudere una convivenza di sette anni che stagnava e nascondeva, in un grande armadio, tutte le cose che le donne spesso finiscono per ammassare in fondo ai vestiti vecchi pur di tirare avanti una storia. Tradimenti, troppi, seguiti da preghiere di perdono che ero stanca di vedermi ripetere fra risatine e messaggi a orari in cui non dovrebbero arrivare. Alcuni scoperti, altri... celati. Scatti d’ira ai quali restavo immobile per farli finire prima, intervalli di calma apparente. 

Ora no. Mentre quel resistere senza scopo si è chiuso, davanti a me c’era una prateria infinita di opportunità. Uscivo tutte le sere, imparavo a leggere i tarocchi, a usare il pendolino, a fare meditazione e visualizzazione e molto altro. Scoprivo ogni giorno una parte di me. E quello che scoprivo faceva male e bene insieme. Curava e feriva. E mentre succedeva, crescevo. Crescevo in fretta, troppo in fretta. Più in fretta di quanto Irene avrebbe voluto. Ma andiamo con ordine. 

"Eh Alice, sei nei guai. Sia Federico sia Alessio ti amano, ma non ti sceglieranno. Stanno messi amm**da. Uno ti vorrebbe come moglie ‘da matrimonio bianco’, l’altro è uno scorpione più inguaiato di me, manco io con vent’anni di esperienza nell’esoterismo anche, diciamo estremo, posso tirarlo fuori dal fosso in cui si è buttato da solo. Meglio che ti trovi qualcuno più diritto" – ha scosso la testa, mentre pensavo alla lotta di potere che quei due uomini avevano portato avanti negli ultimi mesi per il mio cuore, senza che sarebbero mai stati davvero pronti ad accoglierlo. 

Devo dire che, togliendo i momenti nei quali ero in fase la mia crush totale, non me ne importava troppo, mi sentivo il cuore ancora abbastanza protetto emotivamente. Anche se avevo voglia di reinnamorarmi davvero. Come di Victor, ormai dieci anni prima. 

"Eh Irene che ti devo dire, quando torno da Bali con Federico – se vedo che non succede niente di concreto con lui o con Andrea che non si è fatto sentire per la Grecia, mollo il colpo" – ho risposto facendo spallucce. 

Irene ha riso diabolicamente, mentre faceva un’altra stesa di carte, non richiesta. Eccola, la gossip girl dark che tornava. E leggeva, fra quelle carte illustrate da Pamela Colman Smith, sui miei tarocchi preferiti, e io aspettavo, un po’ rassegnata e un po’ complice, il responso. 

"Ah ah ah, li stendi entrambi, che calcio nei denti che arriva a tutti e due entro inizio autunno." 

Non mi ha stupito. L’autunno è sempre stata la mia stagione di rinascita. Cosa che ancora mi riempie di mistero, per altro. Del resto mi chiamo Alice e, come il famoso personaggio di Carroll, attraverso un mondo fatto di stramberie. Con sorrisi senza gatti, invece di gatti senza sorrisi, vale tutto. 

Ma comunque è andata proprio così. È iniziato l’8 agosto, quando ho fatto a Mattia gli auguri di compleanno, mentre facevo scalo a Giacarta. Dopo le vacanze è iniziato un mulinello di eventi che ci ha portati a iniziare una relazione segreta e proibita, ma di una profondità emotiva e passionale che mi mancava da troppo tempo. 

Eppure, Irene non ha reagito come speravo. Mi aspettavo qualcosa come: "Ah ha! L’avevo detto", carico di orgoglio, con la testa e la schiena dritte. Invece no. Prima red flag di un’amicizia che avrebbe fatto sempre più male. È sparita per un mese intero, forse due. E mi ha lasciato un vuoto enorme: nell’apprendimento, nella nuova situationship. Ma soprattutto, nella nostra amicizia. 

Mi sono sentita tradita. Da una sorella, ancora peggio per me. 

"Eh scusa, ma quando ho visto che ti eri infilata in una relazione vera con Mattia, invece di usarla per liberarti dei due fardelli, non ho capito perché ti volessi fare così male. Ancora dopo tutto quello che avevi già passato. Però poi ho capito che non era quello, che avevate bisogno di vivere e respirare questa storia per liberare le vostre anime". 

L’ho guardata un po’ intontita: ne ho sentite di scuse per il ghosting, ma quella esoterica mi mancava. Pensavo, mentre ancora oggi che ne scrivo appiattisco la bocca e schiaccio le labbra le une sulle altre mentre le porto in fuori in una smorfia: bella scusa. 

E poi è successo che Irene ha smesso di essere sempre da me, ogni sabato. Sì, perché da che eravamo vicine di casa, si è trasferita lontano. Lontano da Milano, dalla Lombardia. È andata a vivere a Treviso dal suo nuovo compagno. 

"Eh oggi ho teatro." 

"Eh oggi sono con Giulio a Venezia." 

"Eh questo fine settimana sono a curare le api e a fare un corso con le farfalle." 

Red flag su red flag. Dove io provavo in ogni modo a tirare un carro sempre più pesante. A improvvisare sedute divertenti online di racconti vari. 

"Eh ma non mi sento molto bene, non riesco a connettermi." 

"Eh, ma non prende bene internet." 

La sentivo sempre più distante, ne avevo sempre più bisogno. Come la droga che improvvisamente non ricevi più senza pagarla. La vedo un po’ così la tecnica che fa passare dalle dosi "gratis" che ti danno in strada a quando poi ne hai bisogno e invece di riceverla, ti ritrovi a fare i debiti. O niente. Qui non erano i soldi che servivano: serviva che fossi un discepolo ligio e adorante. Io però ero cresciuta, e volevo essere una sorella alla pari. Avevo tradito il patto iniziale, inconsapevolmente. Quel mio cambiamento non era previsto. Né così in fretta. Né, forse, mai. 

Così la sua assenza è diventata un’arma per tenermi in pugno. E ha funzionato, a lungo. Per quasi tre anni. 

Alla fine ho detto basta. Basta a tutto quello che dovevo rincorrere, perché mi scappava di mano come la sabbia al mare. L’ho detto a tante persone, perché sono io che mi porto sempre al limite pur di non lasciare andare la stabilità di un’amicizia. Di un amore. 

Ma nessuna relazione sta in piedi se fai l’80% tu. Come ci insegna Pareto – parafrasando – se fai l’80%, fai tutto tu. Eh no, non funziona così. Se non è per un periodo, soprattutto. Avvelena in una tossicità subdola e informe. Intossica tutto, anche il bello che c’era. Il bello di una sorellanza che avrei voluto non finisse mai. 

"Ciao Ire, senti ma stas o domattina entro le dieci – che poi vado dai miei – ci sei per una video che sono veramente devastata. Non sto veramente capendo cosa stia succedendo a Mattia, vorrei tanto parlarne con te. E poi non ci sentiamo tanto, ci sei? Dimmi tu, mi adatto". 

Partivo già succube. Prostrata. 

"Eh no, sono via per delle commissioni con Giulio, questo fine settimana non ce la faccio." 

L’ho letta e mi sono scese le lacrime. Silenziose e fredde. Non ho risposto. Per la prima volta non ho risposto, in quasi un lustro. 

E Irene lo ha sentito. Al mattino alle nove mi sono alzata stropicciata. È vibrato il telefono, sono corsa: "sarà Mattia!" Irene: "alle dieci e trenta ci sono". 

Ho lanciato il telefono per terra, sul tappeto, perché non sono nemmeno tanto brava ad arrabbiarmi e prima ho misurato la massima azione power che potessi fare per sfogare la rabbia senza romperlo. Mi serviva, il telefono. 

Mi dici che puoi solo perché non ti ho risposto. 

"Mi dici alle dieci e trenta quando sai che ti ho detto che ci sono fino alle dieci. Così cambio i miei programmi per te e mi tieni in scacco?" 

Dentro di me c’era un conflitto fatto di armi atomiche e distruzione. Non ho risposto. Non ho risposto mai. 

Non mi ha scritto più. È una donna molto intelligente, Irene. Mi osserverà in silenzio. Tornerà solo quando avrà qualcosa di nuovo da mettere sul tavolo. 

Ci vorrà sempre bene, in silenzio. 

Ma non posso stare dove mi si toglie la luce senza mai ridarmela. Scusa Irene, sorella mia. Non resto più dove i legami pesano come catene. 

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