Le meduse, organismi spesso percepiti come quei particolari abitanti trasparenti dei nostri mari o semplicemente fastidiosi per il loro potere utricante, potrebbero presto diventare preziosi alleati della ricerca scientifica. All’Università del Colorado, a Boulder, un gruppo di ingegneri ha sviluppato una tecnologia che trasforma le cosiddette “meduse luna” in veri e propri strumenti bioibridi per studiare gli oceani nelle loro aree più remote e difficilmente raggiungibili.
L’idea è quella di applicare minuscoli dispositivi elettronici che stimolano i muscoli responsabili del nuoto, un po’ come fa un pacemaker con il cuore umano. Questo permette di guidare le meduse verso zone altrimenti inaccessibili, come gli abissi più profondi, per raccogliere informazioni su temperatura, acidità e altre caratteristiche ambientali utili per capire come il cambiamento climatico stia modificando gli ecosistemi marini.
Forse non tutti sanno che le meduse luna sono tra gli animali più efficienti dal punto di vista energetico, sopravvivono da oltre 500 milioni di anni e riescono a spingersi fino a profondità estreme, comprese quelle della Fossa delle Marianne, a circa 11.000 metri sotto la superficie del Pacifico.
Nonostante la loro apparente fragilità, possiedono un corpo sorprendentemente adatto a missioni scientifiche: non hanno nocicettori, quindi non provano dolore nel senso tradizionale, e i loro tentacoli non sono in grado di pungere la pelle umana.
Il progetto non si limita al controllo del movimento, poiché i ricercatori stanno sviluppando sensori biodegradabili, capaci di monitorare l’acqua senza lasciare tracce inquinanti. In passato venivano usati traccianti sintetici come microsfere rivestite di argento, ma oggi si preferiscono alternative naturali come l’amido di mais, meno invasive per l’ambiente. Questo approccio conferma l’attenzione verso un metodo di ricerca che tenga conto sia delle esigenze scientifiche sia dell’etica animale.
Infatti, sebbene le meduse siano prive di cervello, è emerso che alcuni invertebrati reagiscono a stimoli negativi. Per questo la squadra guidata da Nicole Xu monitora con cura i loro comportamenti: quando sono stressate, le meduse possono smettere di riprodursi o secernere muco in eccesso. Nei laboratori, invece, gli esemplari impiegati sembrano prosperare, come dimostrano i nuovi polipi che continuano a formarsi nelle vasche di osservazione.
Il lavoro avviato nel 2020 al largo di Woods Hole, nel Massachusetts, apre così la strada a una nuova frontiera: unire le capacità biologiche di organismi antichi a tecnologie moderne, con l’obiettivo di ottenere veicoli marini ispirati al nuoto delle meduse e, nello stesso tempo, di ampliare le conoscenze sugli oceani che restano ancora in gran parte inesplorati. Xu sottolinea che c’è “qualcosa di speciale nel modo in cui nuotano le meduse luna” e che comprenderlo a fondo potrebbe rendere possibile sviluppare robot.