'Mia Moglie': una guida su cosa fare se sospetti che le tue foto circolino online senza il tuo consenso

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(La redazione di fem) Aug 25, 2025 · 7 mins read
'Mia Moglie': una guida su cosa fare se sospetti che le tue foto circolino online senza il tuo consenso
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Il caso del gruppo Facebook Mia Moglie, dove migliaia di uomini condividevano immagini intime di donne senza il loro consenso, ha scosso l’opinione pubblica. Oltre 32 mila iscritti partecipavano attivamente a una pratica che non è soltanto un abuso di fiducia, ma un reato penale a tutti gli effetti. La chiusura del gruppo, avvenuta dopo centinaia di segnalazioni, ha mostrato ancora una volta quanto sia urgente imparare a difendersi da simili violazioni. Ecco una guida a come procedere se sospetti che le tue immagini stiano circolando online senza il tuo consenso.

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Dal caso ‘Mia Moglie’ alla tutela della dignità online: una guida per difendersi

Diffusione di immagini intime senza consenso: è un reato penale

In Italia, dal 2019, esiste una norma specifica che punisce la cosiddetta diffusione non consensuale di immagini intime. Si tratta dell’articolo 612-ter del Codice Penale, introdotto con la legge “Codice Rosso” (legge 69/2019).

Chiunque invii, consegni, pubblichi o diffonda immagini o video sessualmente espliciti, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone ritratte, commette un reato punito con:

  • da 1 a 6 anni di reclusione

  • da 5.000 a 15.000 euro di multa

Le pene diventano più severe se a diffondere è un partner o un ex partner, se si utilizzano strumenti informatici o se la vittima si trova in una situazione di particolare vulnerabilità. Un aspetto fondamentale da chiarire è che non solo chi pubblica per primo, ma anche chi inoltra o partecipa alla circolazione di quei contenuti commette lo stesso reato.

Primo passo: non diffondere pubblicamente il nome del gruppo

La prima reazione di fronte a una scoperta così violenta è spesso quella di fare un post sui social denunciando il gruppo o il canale dove il materiale circola. Questo, però, rischia di produrre l’effetto opposto. Se il gruppo viene chiuso troppo rapidamente, gli investigatori perdono la possibilità di raccogliere prove e tracciare gli autori. In pratica, si rischia che i responsabili la facciano franca.

Consiglio pratico: conserva l’informazione sul nome del gruppo e segnala solo ed esclusivamente alle autorità competenti. La Polizia Postale ha strumenti per monitorare, sequestrare contenuti e risalire agli autori.

Come raccogliere prove senza correre rischi

Prima ancora di presentare denuncia, è essenziale raccogliere e conservare evidenze solide:

  • screenshot delle pagine, dei post o dei commenti;

  • link diretti ai contenuti;

  • eventuali chat in cui il materiale è stato condiviso;

  • data e ora in cui hai scoperto la violazione.

Non alterare le immagini (es. non oscurare da sola nomi o dettagli): gli inquirenti hanno bisogno dei contenuti nella forma originale per poterli autenticare in tribunale.

Denunciare alla Polizia Postale: a chi rivolgersi e come

La strada principale è rivolgersi alla Polizia Postale, che è il reparto specializzato nei reati informatici. Puoi:

  • recarti in un ufficio della Polizia Postale della tua città,

  • oppure, se non hai una sede vicina, puoi anche rivolgerti a qualsiasi stazione di Polizia o dei Carabinieri, che provvederanno a trasmettere la querela agli uffici competenti.

Ricorda che:

  • La querela deve essere presentata entro 6 mesi dalla scoperta del fatto.

  • Nei casi più gravi – ad esempio se c’è di mezzo un ex partner – la Procura può procedere anche senza querela.

Denunciare non serve soltanto a far rimuovere il materiale. È l’unico modo per consentire agli investigatori di risalire a chi ha diffuso le immagini, sequestrare i dispositivi utilizzati e portare i responsabili davanti a un giudice.

A chi altro puoi rivolgerti oltre alla Polizia per fare rimuovere le immagini e i video

Oltre alla Polizia Postale, ci sono altri canali da attivare.

  • Il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha il potere di ordinare la rimozione immediata dei contenuti, con tempi che non superano le 48 ore.
  • Anche le piattaforme stesse, come Facebook, Instagram, TikTok o X/Twitter, hanno sistemi di segnalazione rapida dedicati proprio alle immagini intime pubblicate senza consenso.
  • Un aiuto concreto arriva anche da StopNCII.org, un’iniziativa internazionale che consente di bloccare la diffusione attraverso una tecnologia che riconosce automaticamente le immagini già segnalate e ne impedisce la ripubblicazione.

E se qualcuno ti minaccia di pubblicare foto tue? (Sextortion)

Un caso diverso ma purtroppo molto frequente è quello delle minacce: qualcuno ti ricatta promettendo di pubblicare tue foto o video intimi se non paghi o non fai ciò che chiede.

Qui non siamo ancora di fronte a una diffusione, ma a un reato diverso: estorsione (art. 629 c.p.), punita con 5–10 anni di carcere.

Cosa fare in caso di sextortion:

  • Non pagare e non cedere alle richieste.

  • Conserva screenshot e conversazioni.

  • Denuncia subito alla Polizia Postale o ai Carabinieri.

  • Blocca l’aggressore su social e app di messaggistica.

Il fattore tempo: perché è cruciale agire subito

Il web amplifica la velocità con cui i contenuti si diffondono. Una foto pubblicata in un gruppo può rimbalzare in poche ore su decine di chat e canali paralleli, rendendo quasi impossibile rimuoverla del tutto. Per questo la rapidità è determinante: denunciare subito, segnalare immediatamente al Garante e alle piattaforme, attivare ogni canale di rimozione disponibile. 

Puoi chiedere anche un risarcimento, ne hai diritto

Oltre alla denuncia penale, la persona vittima di diffusione di foto intime senza consenso ha diritto a un risarcimento dei danni.

  • Danni morali: per la sofferenza, l’umiliazione, la violazione della dignità.

  • Danni patrimoniali: per eventuali perdite economiche, reputazionali o professionali.

Un avvocato penalista o civilista può guidarti nel presentare anche un’azione civile parallela al procedimento penale.

Attenzione anche a chi inoltra o conserva i contenuti

Molti pensano che “scaricare ma non diffondere” non sia reato. In realtà, la semplice conservazione di immagini intime non consensuali alimenta comunque la violenza.

  • Chi inoltra o condivide è responsabile penalmente (art. 612-ter).

  • Chi scarica rischia comunque responsabilità civili e, in alcuni casi, anche penali (es. se il materiale riguarda minori → pedopornografia).

Non esiste neutralità: ogni gesto contribuisce a un reato e a un danno verso la vittima.

L'importanza del supporto psicologico: non sei sola/o

La vittimizzazione online non è solo un fatto tecnico o legale. Ha conseguenze pesantissime sul piano emotivo e psicologico: ansia, depressione, isolamento, in alcuni casi pensieri suicidi.

Puoi rivolgerti a:

Ricorda: denunciare non significa affrontare tutto da sola/o. Ci sono strutture e professionisti pronti ad aiutarti.

Consigli pratici per prevenire futuri rischi

  • Usa messaggi effimeri (WhatsApp, Signal, Telegram con autodistruzione).

  • Proteggi i tuoi account con password complesse e autenticazione a due fattori.

  • Evita cloud non protetti: conserva file sensibili solo su dispositivi personali sicuri.

  • Non condividere contenuti sensibili in relazioni di cui non sei certa/o al 100%: purtroppo, partner ed ex partner sono tra i primi responsabili nei casi di revenge porn.

Cultura del consenso: la vera soluzione a lungo termine

Le leggi ci sono, ma non bastano se non cambia la mentalità. 

Per fermare la diffusione di immagini senza consenso serve un cambiamento culturale: comprendere che pubblicare, condividere o anche solo conservare contenuti intimi non autorizzati è una forma di violenza.

Il gruppo Mia Moglie dimostra quanto radicata sia ancora l’idea che usare le immagini delle donne senza permesso sia qualcosa di “goliardico” o accettabile. Non lo è. È un abuso grave, un reato, e soprattutto un attentato alla dignità.

Scoprire che immagini intime proprie circolano online senza consenso è un trauma, ma oggi ci sono strumenti concreti per difendersi. Il consiglio più importante: non agire di pancia, non fare “giustizia fai da te” sui social, ma seguire i canali ufficiali — Polizia Postale, Garante Privacy, piattaforme, avvocati.

Ogni passo conta: dal raccogliere prove alla denuncia, dalla rimozione alla richiesta di risarcimento, fino al supporto psicologico. E ogni segnalazione contribuisce non solo a proteggere te, ma anche a impedire che altre persone subiscano lo stesso abuso.