A quanto pare Microsoft ha deciso di interrompere l’accesso dell’esercito israeliano ad alcuni servizi di cloud e intelligenza artificiale in seguito alle rivelazioni del Guardian. Stando a quanto emerso, la piattaforma Azure era stata utilizzata per archiviare enormi quantità di comunicazioni private dei palestinesi, con picchi di “un milione di chiamate l’ora”.
A confermare il passo indietro è stato Brad Smith, vicepresidente e presidente di Microsoft, in un memo interno indirizzato ai dipendenti. “Abbiamo trovato elementi che supportano le indagini giornalistiche”, ha dichiarato, spiegando che l’azienda ha comunicato al Ministero della Difesa israeliano (IMOD) la disattivazione di determinati abbonamenti e tecnologie, incluse soluzioni di archiviazione e servizi AI. L’obiettivo, secondo Smith, è evitare che i prodotti della compagnia vengano usati per la sorveglianza di massa della popolazione civile.
Il blocco riguarda una specifica unità dell’IMOD ma di fatto non intacca altri contratti già in essere, legati soprattutto alla cybersicurezza. Microsoft ha ribadito infatti che continuerà a collaborare con Israele e con altri Paesi della regione, in linea con gli accordi di cooperazione tecnologica sottoscritti negli ultimi anni, come quelli derivati dagli Accordi di Abramo.
Intanto, secondo quanto riportato dalla stampa britannica, l’esercito israeliano avrebbe già provveduto a spostare circa 8 terabyte di dati fuori da Azure, con l’intenzione di migrare parte delle attività su Amazon Web Services. Al momento, da parte di Amazon non è arrivato alcun commento ufficiale.
Negli ultimi mesi il colosso di Redmond è stato al centro di proteste interne e manifestazioni pubbliche organizzate da dipendenti e attivisti. Cinque lavoratori sono stati licenziati per aver preso parte alle azioni contro i contratti con Israele, mentre gruppi di manifestanti erano riusciti perfino a entrare nella sede centrale e a occupare l’ufficio di Smith, trasmettendo in diretta la protesta.
Tra le voci più attive c’è il collettivo “No Azure for Apartheid”, che da oltre un anno porta avanti campagne contro le forniture tecnologiche a Tel Aviv. “Questa è una vittoria senza precedenti”, ha dichiarato Hossam Nasr, uno degli organizzatori, sottolineando come Microsoft sia la prima azienda tecnologica statunitense a interrompere almeno in parte la vendita di strumenti digitali all’esercito israeliano dall’inizio del conflitto a Gaza.
Tuttavia, gli attivisti non considerano questa mossa sufficiente e il motivo è facile da capire. La maggior parte dei contratti con l’IMOD resta infatti attiva, e per i promotori della campagna il provvedimento rappresenta solo un primo passo. “Continueremo a mobilitarci finché tutte le nostre richieste non saranno accolte e finché la Palestina non sarà libera”, ha concluso Nasr.