Elisa Pucci, in arte MILLE, è una cantautrice, musicista e performer: nasce come leader dei Moseek, una delle band finaliste di X Factor 2015, ma negli ultimi anni ha intrapreso un percorso da solista che mescola la scrittura e la sua attitudine fortemente cantautoriale a uno spirito pop dall’animo deciso e teatrale che fa della sua ironia la chiave di volta della sua musica.
Beatrice Venezi si fa chiamare "direttore" e non "direttrice"L'intervista a MILLE
“Risorgimento” è un titolo potente: perché questo titolo e, se lo traduci nella tua vita di oggi, qual è il tuo vero risorgimento?
“Risorgimento” è una parola a me molto cara: significa tornare alla vita, alla sorgente. Porta con sé l’idea di movimento, di trasformazione continua, un tema che richiama anche il periodo storico a cui si ispira. In questo disco racconto proprio le mie trasformazioni, a 360 gradi, dal punto di vista personale, sentimentale e professionale. Oggi il mio risorgimento è accettare i cambiamenti che la vita porta con sé, che io lo voglia o no, e trasformarli in nuova linfa.
Nel disco convivono rock, punk, elettronica e pop: come si fa a tenere insieme tante anime senza perdersi?
Per me è naturale: quello che suono è lo specchio di quello che sono. Non ho mai vissuto la musica con paletti o etichette, ma come una tavolozza di colori da usare liberamente, seguendo cuore e mente. Amo la musica suonata, lo studio, la band, il suono analogico. Sono nata nell’84 e ho vissuto un’epoca in cui la parte “suonata” era predominante. Nel disco ci sono tante anime perché fanno parte dei miei ascolti e della mia vita: non devo sforzarmi di tenerle insieme, convivono da sole.
Anche nell’essere sfaccettati al di là della musica, nella vita di tutti i giorni. Come si fa a rimanere autentici alle varie parti di sé?
Con il tempo ho imparato a darmi il permesso di essere quello che sono, senza dover piacere a tutti. È una grande liberazione: scegliersi e farsi scegliere. Io scelgo di non essere altro che me stessa, perché fingere mi costerebbe molta più fatica.
C’è un brano che, più degli altri, racconta la tua rinascita?
Sì, Il tempo le febbri la sete. Sono tre elementi che hanno segnato la mia rinascita interiore, ciò che poi ho chiamato “Risorgimento” nel disco. Nasce da una sofferenza d’amore: ho avuto bisogno del tempo per elaborarla, delle febbri per scaricare l’emotività, e della sete come desiderio di rimettere in moto cuore e corpo. È un brano talismano: racconta quel momento in cui impari a consolarti da sola e a nutrire il seme di una ripartenza.
Raccontaci com’è stato avere Rachele Bastreghi accanto su "Tour Eiffel": cosa ti ha colpito di più del suo modo di vivere la musica?
È stato un dono. Ho voluto chiudere il disco con questa traccia perché il nostro rapporto è sempre stato profondo, mai formale. Quando l’ho scritta ho pensato subito: “sarebbe bellissimo se a un certo punto entrasse la voce di Rachele”. Lei è entrata in studio e ha registrato il brano, e per me vederla cantare è stato un regalo enorme. Rachele è completamente dentro le parole che dice: quando canta, quelle immagini le vedi davvero. In “Dentro i tuoi occhi rossi c’era di tutto. Pensieri sporchi, albe e tramonti” io quelle albe e quei tramonti li vedo davvero.
Se dovessi citare dei nomi che hanno nutrito il tuo immaginario per questo progetto, chi sarebbe nella lista?
Il primo è Garibaldi, per tutta l’estetica che porta con sé: dalle cornici e i ghirigori dei manifesti risorgimentali, che ho rielaborato anche nelle copertine, fino al coraggio dei moti di liberazione. Poi ci sono donne che mi hanno ispirata, come Iris Apfel: a 80 anni ha iniziato a fare la modella, rivendicando la bellezza del proprio corpo senza curarsi del giudizio degli altri. Infine, le persone che mi sono accanto: amici, vicini, storie personali che hanno alimentato anche il mio coraggio di cambiare.
Le tue performance sono teatrali e molto visive: per te il palco è più un confessionale, un manifesto o un gioco?
È tutte queste cose insieme. Il palco, come la musica, è un contenitore di mondi. Non è fatto solo di melodie e testi, ma anche dei corpi che lo abitano. Io curo persino i look dei musicisti: per il tour che parte a novembre probabilmente disegnerò io stessa i loro abiti. Penso al concerto come a qualcosa che si va a vedere, non solo ad ascoltare.
Nei testi usi ironia e disincanto: è il tuo modo di proteggerti o un modo intelligente per raccontare verità scomode?
L’ironia per me è senso civico: serve a non andare in giro con la baionetta (ride). È il mio modo per stemperare la gravità di certe cose e per agganciarmi alle persone. Alla fine se ridi va sempre bene: il sorriso distende la pelle, è meglio di qualsiasi crema idratante.
In un panorama musicale che spesso lascia poco spazio alle voci femminili più fuori dagli schemi, ti sei mai sentita “fuori posto” o è questo diventato il tuo punto di forza?
Onestamente del panorama musicale mi interessa poco. Non penso che le voci femminili siano un genere a parte: esiste la musica, che può piacere o meno. Partendo da questo, non mi sento né fuori posto né nel posto giusto: mi sento nel mio. Il posto me lo creo io, e se va bene bene, altrimenti… che vadano tutti a quel paese (ride).
Cosa vorresti che restasse a chi ascolta “Risorgimento” dopo l’ultima nota?
Vorrei che si dessero la possibilità di pensare: “posso stare meglio nella vita”. Mi piacerebbe che chi ascolta non trovasse qualcosa che parla solo di me, ma qualcosa di inedito dentro di sé.
Qualcosa che vorresti dire alla te del passato?
“Elì, stirati sti c*** di capelli che stai meglio naturali!” (ride). E soprattutto: non ancorarti a persone e situazioni che sai già non ti porteranno da nessuna parte.