Due dei nomi più influenti nel settore spaziale, Elon Musk e Jeff Bezos, stanno portando avanti una sfida che potrebbe cambiare radicalmente il futuro delle missioni oltre l’orbita terrestre: i rifornimenti nello spazio. L’idea, nota dagli anni ’60 ma mai realizzata su larga scala, è quella di costruire veri e propri “distributori orbitanti” in grado di permettere ai veicoli spaziali di ripartire con serbatoi pieni una volta lasciata la Terra.
Il limite principale delle esplorazioni spaziali è sempre stato il carburante. Basti pensare al Saturn V del programma Apollo: al decollo pesava circa 2.950 tonnellate, di cui oltre 2.500 erano solo combustibile. Riempire i serbatoi in orbita cambierebbe le regole del gioco: significherebbe poter partire con meno peso e meno costi, per poi rifornirsi nello spazio e spingersi più lontano, con equipaggi più numerosi e carichi più pesanti. Un concetto che Dallas Bienhoff, veterano di Boeing, definisce imprescindibile se vogliamo davvero espanderci oltre la Luna e Marte.
SpaceX e Blue Origin hanno scelto due strade diverse per arrivare allo stesso obiettivo. Musk punta sul suo Starship, già al centro del programma Artemis della NASA: un gigantesco razzo riutilizzabile che dovrebbe trasformarsi in deposito orbitante dopo una serie di missioni tanker dedicate al trasporto del propellente. Si parla di numeri impressionanti, con proiezioni che vanno da 10 a 40 lanci per completare un singolo rifornimento.
Bezos invece immagina un “trasportatore orbitale” lanciato dal nuovo razzo New Glenn. Questo veicolo verrebbe rifornito in orbita terrestre per poi trasportare il carburante fino all’orbita lunare, dove attenderebbe un lander da rifornire. Una strategia diversa, che riduce il numero di operazioni di aggancio in bassa orbita ma introduce altri interrogativi, soprattutto sui costi e sull’affidabilità del sistema.
La sfida tecnologica principale riguarda la gestione dei propellenti criogenici, che devono restare a temperature bassissime per non evaporare. In assenza di gravità, il liquido non si comporta in modo prevedibile: non si deposita sul fondo del serbatoio ma si sposta liberamente, rendendo complesso anche solo prelevarlo. Per questo servono sistemi di refrigerazione e contenimento ancora in fase sperimentale. Blue Origin ha dichiarato di aver fatto progressi importanti, ma gli ingegneri restano cauti: i comportamenti dei fluidi in microgravità sono notoriamente imprevedibili.
Nonostante i dubbi, Musk continua a insistere: senza rifornimento orbitale, viaggi su Marte o oltre restano quasi impossibili. Lui stesso, però, ha ammesso che una missione verso il Pianeta Rosso entro il 2026 è solo una possibilità remota. Dall’altra parte, Bezos non si sbilancia sui tempi, ma punta a convincere la NASA che il suo modello sia più sostenibile.