La pace torna ad avere un volto credibile. Il Nobel per la Pace 2025 va a María Corina Machado, leader dell’opposizione venezuelana, simbolo di resistenza civile e coraggio democratico. La sua vittoria è un messaggio chiarissimo: la pace non è una messinscena geopolitica né una strategia elettorale, ma una lotta quotidiana per la libertà. Dopo anni di repressione, censura e violenza di Stato, la scelta del Comitato di Oslo risuona come un atto di giustizia morale. Sconfitti nomi controversi come Donald Trump, la cui “pace” per Gaza era un travestimento politico, e premiato chi la pace la costruisce ogni giorno rischiando la vita.
María Corina Machado vince il Premio Nobel per la pace 2025María Corina Machado trionfa e vince il Nobel per la Pace: donna e oppositore del regime in Venezuela
Chi è María Corina Machado
Leader dell’opposizione venezuelana, ingegnera e attivista per i diritti civili, María Corina Machado è diventata il volto della resistenza non violenta contro l’autoritarismo in Venezuela.
Origini, studi e prime scelte
Nata a Caracas nel 1967, è la maggiore di quattro sorelle. Si laurea in ingegneria industriale all’Università Cattolica Andrés Bello, ottiene un master in finanza all’IESA e partecipa al programma World Fellows della Yale University. Fin dagli anni Novanta affianca alla carriera la cura dell’infanzia vulnerabile con iniziative sociali come la Fundación Atenea.
La nascita dell’attivismo civico: Súmate e il voto come antidoto alla violenza
Nel 2002 co-fonda Súmate, piattaforma di partecipazione elettorale e osservazione del voto. Nel 2004 promuove il referendum sulla revoca di Hugo Chávez, portando il tema della trasparenza al centro della politica. Per i sostenitori, Súmate dimostra che la cittadinanza organizzata può difendere le urne senza ricorrere alla violenza.
L’ingresso in Parlamento e lo strappo del 2014
Alle politiche del 2010 viene eletta con un record di preferenze e si impone su stato di diritto, riforme istituzionali e libertà economica. Nel 2014 interviene all’Organizzazione degli Stati Americani come rappresentante supplente di Panama; pochi giorni dopo è dichiarata decaduta dal seggio e affronta processi e restrizioni. Quella stagione la consolida come simbolo della resistenza democratica. Tra il 2022 e il 2023 riporta la politica nei barrios storicamente chavisti e vince consenso nelle primarie dell’opposizione. A giugno 2023 riceve una inhabilitación di 15 anni dai pubblici uffici: per la sua area è una misura politica pensata per estrometterla dal confronto elettorale. Lei risponde costruendo reti civiche e formazione di attivisti sul territorio.
Idee e programma: liberalismo civico e riforme
Machado si definisce liberale di centro: proprietà privata come leva di emancipazione, stato snello, welfare mirato e apertura a riforme sociali. Sostiene pressioni diplomatiche e sanzioni mirate verso i responsabili di abusi, punta su unità dell’opposizione e osservazione internazionale del voto. Per i critici è troppo radicale; per i sostenitori dà un linguaggio politico al desiderio diffuso di libertà.
Perché il Nobel per la Pace a lei
Il Comitato di Oslo ha premiato la coerenza di un percorso: organizzare cittadini disarmati, documentare violazioni e tenere accesa l’idea di una transizione pacifica. Il premio restituisce centralità alla non violenza: la pace non come retorica di potere, ma come pratica quotidiana fatta di coraggio civile e responsabilità.
Nobel per la Pace 2025
C’è un momento dell’anno in cui il mondo intero trattiene il fiato, cercando di intuire chi porterà a casa la medaglia più simbolica di tutte: il Nobel per la Pace. È un premio che non distribuisce solo gloria, ma anche responsabilità, e che ogni anno accende discussioni, entusiasmi e – spesso – qualche polemica. In questa edizione, le scommesse si sono infiammate: tra i 338 candidati figuravano nomi capaci di rappresentare poli opposti dell’idea di pace, da Donald Trump a Greta Thunberg, passando per Yulia Navalnaya, Volodymyr Zelensky e l’italiana Francesca Albanese. E se il mondo sembra sempre più diviso, anche le interpretazioni della parola “pace” lo sono.
Alfred Nobel: l’inventore che volle riscattarsi con la pace
Dietro il nome che ogni ottobre riempie i titoli dei giornali, c’è un uomo tormentato dal proprio successo. Alfred Nobel, chimico, inventore e industriale svedese, aveva accumulato una fortuna immensa grazie a un’invenzione che cambiò il mondo: la dinamite. L’intento era nobile — rendere più sicuri i lavori in miniera e in costruzione — ma il suo utilizzo bellico gli valse l’appellativo di “mercante di morte”. Sconvolto da questa fama, Nobel decise di lasciare un’eredità diversa: nel suo testamento istituì premi annuali “a coloro che, durante l’anno precedente, abbiano arrecato il massimo beneficio all’umanità”. Tra questi, uno doveva essere dedicato “a chi avrà fatto di più o di meglio per la fraternità tra le nazioni e per la riduzione degli eserciti permanenti”. Così nacque, nel 1901, il Premio Nobel per la Pace. Un ideale alto, quasi utopico, ma continuamente messo alla prova dalla realtà.
Da Mandela a Malala: i volti immortali della pace
Nel corso di oltre un secolo, il Nobel per la Pace ha premiato 142 laureati – tra individui e organizzazioni – che hanno segnato la storia. Dai giganti come Nelson Mandela, Martin Luther King Jr., Madre Teresa di Calcutta e Malala Yousafzai, fino a enti collettivi come Medici Senza Frontiere e l’ONU, il premio ha celebrato battaglie civili, impegni umanitari e sogni di disarmo. Malala, premiata a soli 17 anni, rimane la più giovane vincitrice di sempre; Joseph Rotblat, insignito a 86 anni per il suo lavoro contro le armi nucleari, il più anziano. Nel 2024, l’onore era toccato all’organizzazione Nihon Hidankyo, voce dei sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki, “per i suoi sforzi volti a realizzare un mondo libero da armi nucleari”. Un messaggio potente, che ancora oggi risuona nelle sale di Oslo.
Quando la pace divide: i casi più controversi
Non tutti i Nobel per la Pace hanno resistito alla prova del tempo. Alcune scelte del comitato hanno sollevato aspre critiche e alimentato dibattiti etici e politici. L’assegnazione del premio nel 1973 a Henry Kissinger per il cessate il fuoco in Vietnam rimane uno degli episodi più discussi: il suo co-vincitore, il leader nordvietnamita Le Duc Tho, rifiutò il premio, rendendolo l’unico nella storia a farlo. Barack Obama, premiato nel 2009, ricevette il Nobel dopo pochi mesi di presidenza: molti lo considerarono un riconoscimento “prematuro”, tanto più che durante il suo mandato proseguirono i conflitti in Libia, Afghanistan e Yemen. E ancora, Abiy Ahmed, il premier etiope celebrato nel 2019 per la pace con l’Eritrea, si trovò poco dopo coinvolto in un nuovo conflitto nel Tigray. La storia del Nobel per la Pace è anche una storia di illusioni, aspettative e cadute, dove la linea tra idealismo e pragmatismo è sempre sottilissima.
I favoriti del 2025: dal gelo russo alla sabbia di Gaza
L’edizione 2025 sicuramente già era segnata come una delle più imprevedibili. Gli operatori di scommesse internazionali avevano messo tra i favoriti il presidente statunitense Donald Trump, forte del suo recente “accordo di pace” tra Israele e Hamas, che ha portato – formalmente – a un cessate il fuoco a Gaza; ma anche la sua polare opposta, l'attivista Greta Thunberg che si è battuta per portare aiuti umanitari a Gaza con la missione della Sumud Flottilla, recentemente rientrata dopo la detenzione israeliana. Li affiancano Yulia Navalnaya, moglie del dissidente russo Alexey Navalny, morto in carcere, Volodymyr Zelensky, simbolo della resistenza ucraina. Tra le organizzazioni, spiccavano le Camere di risposta alle emergenze del Sudan, la Corte Internazionale di Giustizia e gli osservatori dell’OSCE.
La paura a Oslo: la Norvegia si prepara alla vendetta di Trump
Già alla vigilia dell’annuncio, a Oslo si respirava tensione. Politici, analisti e membri del comitato norvegese sapevano che qualunque decisione avrebbe potuto scatenare l’ira dell’ex presidente americano. Secondo diversi osservatori, la Norvegia si era preparata persino a ripercussioni diplomatiche: nuove tariffe punitive, richieste di aumenti ai contributi NATO, o — nel delirio prevedibile del personaggio — la possibilità che Trump arrivasse a definire la Norvegia un “Paese nemico”.