La produzione di ammoniaca è uno dei pilastri dell’industria chimica moderna, soprattutto per il settore dei fertilizzanti che sostiene l’agricoltura mondiale. Ma il prezzo ambientale è elevato: circa il 2% del consumo globale di combustibili fossili e oltre l’1% delle emissioni climalteranti derivano dai processi tradizionali basati sul reforming del metano. Con la domanda destinata a crescere insieme alla popolazione, ridurre l’impatto climatico del settore è diventato un obiettivo urgente.
Negli Stati Uniti, un gruppo di ricerca dell’Università dello Utah sta lavorando a un’idea che unisce due mondi spesso considerati distanti: la chimica industriale e l’energia nucleare. Il progetto, finanziato dal Department of Energy attraverso il Nuclear Energy University Program, punta a disegnare due impianti di riferimento per la produzione di ammoniaca a zero emissioni, alimentati da reattori nucleari modulari di piccola scala, i cosiddetti SMR (Small Modular Reactors).
Gli SMR, a differenza delle rinnovabili come solare ed eolico, offrono energia stabile e continua, qualità fondamentale per processi industriali che non tollerano interruzioni. Inoltre, la loro modularità consente di costruirli vicino ai centri di consumo, riducendo le perdite e i costi legati al trasporto dell’idrogeno, elemento essenziale per la sintesi dell’ammoniaca.
I ricercatori hanno elaborato due schemi impiantistici. Uno prevede l’uso di acqua dolce come fonte di idrogeno, mentre l’altro integra un sistema di dissalazione per poter utilizzare acqua marina o salmastra. In entrambi i casi, il cuore energetico è il modulo NuScale da 250 MW termici e 77 MW elettrici. L’idrogeno non viene prodotto con il tradizionale reforming ma tramite elettrolisi a vapore ad alta temperatura, un metodo che sfrutta direttamente il calore del reattore, riducendo il fabbisogno di elettricità.
Il passo successivo è stato modellare i flussi energetici con Aspen Plus, un software usato in ingegneria chimica. Sono stati analizzati tre scenari di recupero calore, confrontando diversi sistemi di preriscaldamento dell’acqua per l’elettrolisi. L’opzione più promettente si è rivelata quella che riutilizza in maniera estesa il calore di scarto proveniente dai compressori e dal processo Haber-Bosch stesso. Questo approccio non solo aumenta l’efficienza complessiva, ma consente di massimizzare la resa di ammoniaca senza ricorrere a fonti esterne di energia.
Il team ora guarda avanti: i prossimi passi riguardano l’ottimizzazione dei singoli moduli e la valutazione economica, con l’obiettivo di dimostrare la competitività di impianti nucleari per l’ammoniaca rispetto alle tecnologie convenzionali. In parallelo, si studiano soluzioni come la dissalazione a congelamento e l’accumulo energetico sotto forma di ghiaccio per rendere sostenibile l’utilizzo dell’acqua di mare.