Un nuovo passo avanti nella caccia alle onde gravitazionali arriva dai laboratori statunitensi, dove un gruppo di ricercatori ha messo a punto un dispositivo capace di migliorare in modo decisivo la sensibilità di LIGO, l’osservatorio che per primo ha intercettato i debolissimi segnali prodotti da collisioni cosmiche tra buchi neri e stelle di neutroni.
Il sistema si chiama FROSTI, acronimo di FROnt Surface Type Irradiator, e agisce correggendo le minuscole deformazioni che i potenti fasci laser generano quando attraversano gli specchi del rivelatore. Il risultato, secondo i test, è un aumento di circa dieci volte nel volume di universo osservabile.
LIGO, operativo tra gli Stati Uniti e recentemente affiancato da altri interferometri come Virgo in Italia e KAGRA in Giappone, basa il proprio funzionamento sulla capacità di misurare variazioni infinitesimali nella distanza percorsa dalla luce. Quando però i ricercatori cercano di potenziare i laser per guardare più lontano, gli specchi che riflettono i fasci subiscono piccolissime distorsioni termiche. Anche ondulazioni inferiori alle dimensioni di un protone possono rendere il sistema meno preciso e mascherare i segnali provenienti dal cosmo.
Qui entra in gioco FROSTI e , nonostante il nome che evochi il freddo, il principio sfruttato è opposto: una serie di resistenze scalda in modo controllato la superficie dello specchio, ridisegnandone la forma ottica originale. Si tratta di una vera “chirurgia termica” che appiana le irregolarità senza introdurre rumori di fondo. Il tutto avviene in condizioni di ultra-vuoto, requisito indispensabile perché l’apparato non contamini le delicate superfici riflettenti.
I prototipi sperimentati dall’Università della California a Riverside hanno dimostrato non solo la capacità di correggere distorsioni complesse, ma anche una notevole tolleranza ad allineamenti imperfetti del fascio. In pratica, anche con errori di posizionamento minimi il sistema resta efficace. FROSTI è stato testato sugli specchi da 40 chilogrammi attualmente in uso, ma la tecnologia è progettata per essere scalabile e potrà essere applicata anche ai giganteschi specchi da 440 chilogrammi che equipaggeranno i futuri osservatori, come il Cosmic Explorer.
Arrivare a un incremento di dieci volte della capacità osservativa significa aprire la possibilità di rilevare milioni di fusioni tra buchi neri e stelle di neutroni che oggi restano invisibili. Ma non solo: i fisici sperano di scoprire anche sorgenti di onde gravitazionali ancora ignote, capaci di offrire indizi preziosi sulla natura della materia densa e sull’evoluzione dell’universo primordiale.
Nuove versioni sono già in fase di studio per gestire scenari ottici ancora più complessi e per accompagnare le prossime generazioni di rivelatori.