Quando pensiamo al vetro, la prima immagine che affiora è quella di un materiale fragile, destinato a rompersi sotto pressione. Eppure un gruppo di ricercatori in Cina è riuscito a trasformarlo in un alleato della medicina rigenerativa, realizzando una versione “bio-attiva” e stampabile in 3D che nei test su conigli ha mostrato una sorprendente capacità di favorire la crescita ossea.
Il progetto, guidato da Jianru Xiao, Tao Chen e Huanan Wang, si basa su una proprietà fondamentale: sia le ossa sia il vetro condividono una resistenza maggiore alla compressione che all’allungamento, caratteristica che le rende strutturalmente affini. Partendo da questa osservazione, i ricercatori hanno messo a punto un gel speciale unendo particelle di silice con cariche opposte a ioni di calcio e fosfato, già noti per stimolare la formazione cellulare. Questa miscela può essere stampata in 3D e successivamente consolidata con un trattamento termico a circa 700 °C, molto inferiore alle temperature estreme richieste dalla lavorazione tradizionale del vetro.
Normalmente, la stampa 3D del vetro necessita di additivi tossici e di calore superiore ai 1.000 °C, fattori che ne limitano l’impiego in ambito medico, ma il nuovo approccio sfrutta gel colloidali inorganici auto-riparanti, in grado di mantenere la forma e la bioattività senza ricorrere a plasticizzanti organici. Questo significa costi più bassi, maggiore sicurezza e strutture più facili da personalizzare in base alle esigenze cliniche.
Nei test comparativi, il team ha messo alla prova tre materiali: semplice vetro di silice, un sostituto osseo già in commercio e il nuovo bio-vetro. Applicati a difetti nel cranio di conigli, i risultati hanno rivelato un quadro interessante: se inizialmente il prodotto commerciale favoriva una crescita più rapida, dopo otto settimane il bio-vetro si è dimostrato più duraturo, con una percentuale molto più alta di cellule ossee aderenti alla sua superficie. Al contrario, il vetro tradizionale ha mostrato una quasi totale assenza di attività biologica.
Dal punto di vista meccanico, le strutture stampate hanno raggiunto un modulo di compressione di circa 2,3 megapascal, valore adeguato per essere impiegato come impalcatura temporanea nelle ricostruzioni ossee. La capacità di “auto-guarire” durante la stampa ha inoltre permesso di ottenere forme precise e stabili, mantenendo al contempo le proprietà necessarie a stimolare la rigenerazione dei tessuti.
Gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista ACS Nano, sottolineano come questo metodo possa rappresentare un passo avanti verso impianti personalizzabili e più accessibili non solo per la chirurgia dentale, ma anche per altre applicazioni ortopediche. Inoltre, la tecnica di stampa “green” sviluppata dal gruppo potrebbe trovare applicazioni in settori ben oltre la medicina, dall’ingegneria meccanica alla produzione di componenti per l’energia.