L'AGCM ha condannato Poste Italiane a pagare una multa da 4 milioni di euro. Lo si legge nell'ultimo bollettino settimanale pubblicato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, il 22esimo del 2025. Secondo l'Autorità, Poste Italiane ha messo in atto una pratica commerciale scorretta legata alle app Banco Posta e PostePay per Android.
A inizio dello scorso anno infatti Poste Italiane aveva posto come condizione necessaria per poter utilizzare le due applicazioni la concessione dell'accesso ai dati dello smartphone: toccare "Consenti" era l'unica possibilità per poter usare le app. La scelta era stata giustificata con la necessità di prevenire le frodi. Gli utenti iOS non erano però sottoposti allo stesso vincolo, in virtù del fatto che quello di Apple è ritenuto dall'azienda un sistema più "sicuro", sotto il profilo delle possibili frodi meno vulnerabile di Android.
L'AGCM ha giudicato la condotta di Poste Italiane come aggressiva e allo stesso tempo lesiva della libertà di scelta dei clienti. Per l'Autorità, Poste ha limitato l'accesso dei clienti a servizi essenziali, inducendoli a concedere l'accesso a dati sensibili in mancanza di un'informativa adeguata e che comunque alcuni non avrebbero concesso, se avessero potuto scegliere. Inoltre, la pratica di Poste è stata ritenuta in contrasto con la norma del Codice del Consumo sulla diligenza professionale: è stata ravvisata una forte asimmetria informativa tra un intermediario finanziario del calibro di Poste e il suo bacino clienti, composto anche da soggetti poco esperti o comunque non esattamente a proprio agio con le questioni digitali.
A febbraio 2025 Poste Italiane è tornata sui propri passi, ammorbidendo la propria posizione: chi, non avendo facoltà di scelta, aveva dato il consenso controvoglia poteva revocarlo, mentre i "nuovi" delle due app, al primo utilizzo, non erano più obbligati a concedere l'accesso ai dati dello smartphone. Nel corso dell'istruttoria, l'AGCOM, chiamata in causa dall'AGCM, si è espressa contro la condotta di Poste.
Poste si è difesa spiegando che i dati raccolti non erano in alcun modo riconducibili al proprietario, che non venivano utilizzati per finalità economiche e che comunque, chi negava il consenso vedendosi sbarrare le porte delle app, poteva comunque utilizzare i servizi attraverso gli altri canali, come ad esempio il portale web o gli uffici postali. Giustificazioni evidentemente deboli, non sufficienti a evitare la sanzione da 4 milioni di euro.