A volte le scoperte più significative arrivano per caso, magari spulciando tra sterminati archivi digitali. È quanto accaduto a Kirill Kovalev, un biologo strutturale del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (EMBL), che durante una delle sue consuete ricerche online si è imbattuto in qualcosa di completamente inaspettato. La sua attenzione è stata catturata da una caratteristica insolita, condivisa da un gruppo di rodopsine, le proteine sensibili alla luce, presenti esclusivamente in microrganismi che vivono in ambienti estremamente freddi, come ghiacciai e alte catene montuose. Pur evolvendosi a migliaia di chilometri di distanza, queste proteine erano quasi identiche. Una coincidenza troppo grande per essere ignorata, che ha spinto lo scienziato a battezzarle "criorodopsine".
Queste molecole non solo hanno dimostrato di avere una gamma di colori sorprendente, ma tra queste spiccava una variante blu, particolarmente ricercata nel campo delle biotecnologie. A differenza della maggior parte delle rodopsine, di colore rosa-arancio e attivate dalla luce verde, le criorodopsine blu rispondono alla luce rossa, la quale ha la preziosa capacità di penetrare i tessuti biologici più in profondità e in modo meno invasivo. Grazie a tecniche avanzate di biologia strutturale, i ricercatori hanno capito cosa conferisce loro questo colore unico, un passo fondamentale che apre alla possibilità di progettare in futuro rodopsine sintetiche su misura per specifiche applicazioni.
Ma a cosa servono esattamente queste molecole specializzate? Gli scienziati ipotizzano che la loro funzione non sia legata tanto al freddo, quanto alla capacità di percepire e reagire alle radiazioni UV, particolarmente intense ad alta quota e potenzialmente dannose per i microbi. Questa intuizione è rafforzata dal fatto che le criorodopsine rispondono alla luce molto più lentamente rispetto a qualsiasi altra rodopsina conosciuta, un comportamento compatibile con un meccanismo di difesa.
Ad avvalorare questa tesi, i ricercatori hanno notato che il gene delle criorodopsine appare quasi sempre associato a un'altra piccola proteina sconosciuta. Utilizzando strumenti di AI come AlphaFold, il team ha previsto un meccanismo affascinante: quando la criorodopsina rileva la luce UV, un anello formato da cinque di queste piccole proteine si stacca per trasmettere il segnale più in profondità nella cellula.
Il potenziale di questa scoperta è enorme, soprattutto nel campo dell'optogenetica, la disciplina che utilizza la luce per controllare le cellule. I test condotti su colture di cellule cerebrali hanno mostrato che era possibile modularne l'attività elettrica: la luce verde aumentava la loro eccitabilità, mentre la luce UV o rossa la riduceva. Avere a disposizione strumenti molecolari così precisi per "accendere" e "spegnere" l'attività cellulare potrebbe trasformare la ricerca, la biotecnologia e la medicina.
Sebbene le criorodopsine non siano ancora pronte per un'applicazione diretta, rappresentano un prototipo eccellente, contenente tutte le caratteristiche chiave per essere ingegnerizzate e diventare ancora più efficaci. Resta però un affascinante mistero da risolvere: perché una funzione così importante come la protezione UV si è evoluta unicamente in organismi che popolano ambienti gelidi?