Un recente studio internazionale ha acceso i riflettori su un fenomeno inquietante per la medicina: la “de-skilling” dei medici, ovvero la perdita di competenze dovuta a un eccessivo affidamento sull’AI. Pubblicata su The Lancet Gastroenterology & Hepatology, la ricerca ha analizzato il lavoro di endoscopisti polacchi impegnati in programmi di prevenzione del cancro del colon, valutandone le prestazioni durante le colonscopie senza assistenza AI. Il risultato è stato netto: i professionisti che usavano regolarmente sistemi di rilevamento automatizzato registravano, senza il supporto della macchina, un tasso di individuazione di circa sei punti percentuali inferiore rispetto ai colleghi meno esposti a questa tecnologia.
Il team di ricercatori, proveniente da Polonia, Norvegia, Svezia, Regno Unito e Giappone, ha seguito quattro centri di endoscopia polacchi coinvolti in un progetto pilota di uso dell’AI per il riconoscimento di lesioni potenzialmente cancerogene. L’obiettivo non era valutare soltanto l’efficacia immediata del software, ma capire anche gli effetti a lungo termine sull’abilità clinica “manuale” dei medici. L’esito mette in discussione la narrazione secondo cui l’AI, in ambito sanitario, porta soltanto benefici: in certi contesti, la dipendenza tecnologica può erodere competenze diagnostiche fondamentali.
Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli episodi controversi, come quello legato a un modello sanitario sviluppato da Google, accusato di “allucinazioni” dopo aver individuato inesistenti parti anatomiche in referti medici.
La questione non è tanto se usare o meno l’AI, quanto come integrarla in modo che supporti il professionista senza sostituirne il giudizio. In teoria, un sistema di rilevamento automatizzato durante una colonscopia può ridurre il rischio di errori, aumentare il tasso di individuazione di polipi precancerosi e standardizzare le procedure.
Tuttavia, se il medico si affida in maniera passiva alle segnalazioni della macchina, con il tempo può perdere l’allenamento necessario per riconoscere anomalie in autonomia. Questo, alla lunga, può rendere più vulnerabili pazienti e strutture in caso di malfunzionamenti del sistema o di situazioni in cui l’AI non è disponibile.
L’argomento tocca anche un nodo formativo: come devono essere preparati i futuri medici in un’epoca in cui l’AI sarà presente in quasi ogni ambito diagnostico? Se da un lato è importante sfruttare al meglio le potenzialità della tecnologia, al tempo stesso è necessario garantire che le competenze cliniche di base restino solide. La soluzione potrebbe passare per protocolli di addestramento ibridi, che prevedano l’uso dell’AI in combinazione con sessioni senza supporto tecnologico, per mantenere viva la capacità di osservazione e decisione del medico.