Quindi il caso Giulia Tramontano non sarebbe "femminicidio"? Tutti i buchi del nuovo testo sul reato

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(La redazione di fem) Jul 01, 2025 · 4 mins read
Quindi il caso Giulia Tramontano non sarebbe
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Il tentativo della Lega e di Fratelli d’Italia di “riscrivere” il reato di femminicidio punta, almeno sulla carta, a rendere la norma più precisa e applicabile. Ma la verità è che si tratta di un testo escludente e limitante. E dal momento che le leggi fanno cultura, è un problema enorme.

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Il punto di partenza: secondo le relatrici di maggioranza Giulia Bongiorno e Susanna Campione bisognava superare una formulazione considerata "troppo vaga" e, quindi, difficile da sostenere in tribunale. Ma dietro l’apparente chiarezza giuridica c'è un equivoco: restringere il campo d’azione della legge sui femminicidi mentre la realtà ci chiede l’opposto, cioè maggiore capacità di leggere e riconoscere la violenza in tutte le sue forme.

secondo questo testo il caso di giulia tramontano non sarebbe femminicidio

Il nuovo testo prevede l’ergastolo solo nei casi in cui l’uccisione di una donna sia legata a un rifiuto di relazione o alla resistenza a una condizione di sottomissione. Ok: è una definizione che appare logica (sulla carta) ma che nella pratica rischia di escludere troppe situazioni reali. Prendiamo, per esempio, la storia di Giulia Tramontano: vittima di un compagno violento che non ha agito in reazione a un rifiuto affettivo, né all'esercizio della propria autodeterminazione.

Giulia Tramontano non aveva idea che con la propria semplice esistenza stava rovinando i piani di Impagniatiello, il quale la avvelenava da oltre un anno e il quale esercitava una dinamica di controllo e di sopraffazione. Con la nuova norma, questo evidente caso di femminicidio non rientrerebbe nella definizione di femminicidio.

E allora la domanda è semplice eppure centrale: che senso ha scrivere una legge sul femminicidio che non riesce nemmeno a includere i casi più recenti e più eclatanti? A chi giova? Chi lavora nei centri antiviolenza o nei tribunali sa che le relazioni di potere, il possesso, la manipolazione psicologica e l’abuso non sempre si manifestano in modo esplicito: a volte la violenza è sottile, strisciante, nascosta, fatta di anni di controllo, isolamento, ricatti. E le vittime non sempre ne sono consapevoli, proprio come Giulia, quindi non sempre possono "rifiutare" le avances o il controllo del partner.

E qui arriva un nodo centrale: perché nel testo manca del tutto la parola “misoginia”? Non si tratta di un dettaglio semantico, ma della rimozione di una radice culturale precisa. Legare il femminicidio solo al rifiuto significa ridurre le donne a un ruolo passivo, come se fossero “prede” che a un certo punto si ribellano e allora vengono punite e contemporaneamente significa responsabilizzarle, rendendole - con il loro "no" - parte attiva nel processo di violenza che culmina nel femminicidio. Processo di cui, lo ripetiamo per l'ennesima volta, non sono sempre consapevoli.

Le donne non muoiono solo perché dicono "no".

Vengono uccise perché esistono, perché lavorano, perché chiedono rispetto, perché lasciano ma anche perché restano. Vengono punite per essere libere, ma anche per essere fragili, incerte, ambivalenti. In molti casi, nemmeno sanno — né devono sapere — che stanno “esercitando” una libertà. Eppure, la norma sembra dir loro: se la tua morte non è legata a un rifiuto chiaro e identificabile, allora forse non rientra in questa tutela penale.

Così, la legge rischia di scaricare sulle donne stesse la responsabilità di "attivare" il reato, quasi che la violenza dipendesse da una loro azione consapevole. Ma cosa significa “esercitare la propria libertà” in un contesto in cui non è chiaro cosa possa innescare la rabbia del partner? Basta una risata, una telefonata, un'uscita non concordata, un cambiamento nei vestiti, o il desiderio di indipendenza economica. Chi può dire dov’è, davvero, il confine che scatena la violenza?

Restano fuori, quindi, tutti quei femminicidi che non nascono da un gesto di rottura esplicita, ma da un’esistenza femminile (biologica, transgenere, non binary) che non aderisce ai ruoli imposti. Restano fuori le donne che “non obbediscono” abbastanza, ma anche quelle che “non sorridono” abbastanza. Quelle che vivono la maternità in modo non conforme. Quelle che scelgono il lavoro, o che non possono permetterselo. Quelle che, pur non dichiarando un rifiuto, vengono percepite come minacce a un ordine precario.

l'importanza culturale di parlare di misoginia

È qui che la misoginia, intesa come odio o disprezzo verso il femminile in quanto tale, dovrebbe entrare nel discorso penale e paradossalmente invece scompare. C’è poi un altro nodo: quello delle misure cautelari obbligatorie e del ruolo esclusivo del pubblico ministero nell’ascolto delle vittime. Sono strumenti pensati per proteggere, ma rischiano di rallentare i tempi e creare colli di bottiglia in un sistema giudiziario già sovraccarico.